L’innocenza

Più ci penso e più mi rattrista: quella passata innocenza, la mia passata innocenza. D’allora sono trascorsi più di cinquant’anni, e andando indietro con la memoria mi rivedo bambina, tra i sette e gli otto anni, insieme alle mie compagne di gioco. Per noi l’innocenza di quei tempi era magica, bella, pura e semplice: un alone di splendore straordinario. Vedevamo le cose e la vita meravigliosamente come una favola, per cui credevamo a tutto ciò che gli adulti ci raccontavano. Allora non conoscevano nessun genere di malizia, la sincerità era lo specchio dei nostri occhi e dei nostri visi.

A quei tempi io vivevo in un paesino nel centro della Sicilia, dove vivo tuttora, ed era usanza far credere ai più piccini che i bambini nascevano in uno strano modo; mi spiego meglio: quando uno manifestava la curiosità di sapere come nascevano i bambini, veniva data loro la più ingenua, la più fantasiosa, la più romantica delle spiegazioni. Nelle nostre zone non esistendo le cicogne si attingeva alle risorse territoriali. Spesso si rispondeva che i bambini venivano "trovati"; il trovarli dipendeva soprattutto dal mestiere che faceva il padre; siccome quasi tutti erano contadini di solito venivano trovati in aperta campagna, mentre si lavorava. Quando ciò succedeva, i padri premurosi, attratti dai gemiti e dai piagnistei, felici li prendevano e li portavano alle mogli, le quali erano obbligate a rimanere a letto per fare capire a tutti che il marito le aveva portato un bello e sano bambino. I parenti e i vicini andavano a vedere quel bambino trovato da poco e si poteva notare la gioia e la leggiadria di tutti specie dei più piccoli che entravano ed uscivano a gruppi per vedere quel bimbo, e si chiedevano: "chissà dove l’ha trovato? Forse sotto un albero? O vicino ad un muro? Mentre piangeva?". Ma poi quanti ne venivano trovati a quei tempi. Non c’era un giorno che non venivano trovati bambini. Ricordo un particolare che in una sola settimana erano stati trovati più di venti bambini e si potevano considerare quasi tutti gemelli. Noi bimbi, non finivamo mai di stupirci. Un giorno, la mia amichetta Pietra, che abitava nella mia stessa strada, è venuta di corsa a chiamarmi e a raccontarmi che la sera precedente, suo padre aveva trovato due fratellini: un maschietto ed una femminuccia. Mi raccontò tra le lacrime di gioia, come suo padre li trovò piangenti vicino alla paglia mentre mietevano il grano con le mule; e lei piangeva perché pensava che se non se ne fosse accorto suo padre, era probabile che le mule li avrebbero calpestato; Oh! Che fortuna che suo padre se n’era accorto in tempo.

Allora giocavano sempre fuori, in mezzo alla strada, a gruppi o di femminucce o di maschietti; perché al catechismo ci insegnavano che "masculi e fimmini scatinati a lu ‘nfiarnu scumunicati" (uomini e donne scatenati all’inferno incatenati). Ci scatenavamo, comunque, in mezzo alle strade saltellando con la corda, giocando a palla e alla famosa "stidda" (stella: gioco) ; poi, c’era chi giocava al trenino, chi con l’elastico era uno spettacolo vivente. Si giocava pure a fare i soldatini tutti in fila ricorrendoci poi, ed era meraviglioso. Ci sedevamo sui marciapiedi e parlavamo delle nostre mamme di quanto ci volevano bene specialmente quando eravamo ubbidienti.

Un giorno mentre giocavamo, a qualcuno di noi è venuta una bella pensata, cioè di andare tutti quanti in campagna a cercare qualche bambino. Quindi, ci siamo messi d’accordo per l’indomani mattina alle 10:00, di buon ora. Così l’indomani mattina ci siamo ritrovati tutte nella piazzetta principale. Eravamo più di undici, lo ricordo molto bene come fosse stato ora: io, la mia amica Mariuzza, Concettina, Cicinedda, Pietra, Turuzza, Antonia, Rosa, Pippina, Carmelina e altre che non ricordo il nome. Eravamo vestite quasi tutti uguali: vestitini lunghi sino a mezza gamba, colletti bianchi e l’abitino arricciato in vita chiusi con un fiocchetto, i capelli raccolti in lunghe trecce legate con fiocchi bianchi; i colori dei vestiti erano sull’azzurro, verdino a quadrettini e le scarpe, ricordo bene, le portavamo di colore nero allacciate come scarpine sul davanti della montatura, e di più anche tappezzate. Così abbigliate partimmo verso la campagna, sicure e decise di trovare qualche bambino. Camminavamo in fila indiana lungo un viottolo e Mariuzza suggerì di dirigerci verso la campagna di suo zio Nicola, Contrada Fontana Grande, dove suo padre e i suoi zii avevano sempre trovato bambini, cioè tutte le sue cuginette. Lì era stato recentemente trovato suo fratellino. Strada facendo si discuteva e Mariuzza raccontava che suo padre l’aveva trovata in un prato grande e fiorito nel mese di maggio, tra l’altro sotto un bellissimo cespuglio di margherite bianche, e lei era lì che non piangeva e sorrideva ad una farfalla che si era posata sul suo faccino. Suo padre tutto contentissimo di averla trovata, premuroso la portò da sua madre che l’accudirono come una principessa. "Mio padre - disse Carmelina - invece, mi ha trovato nella mia campagna, in Contrada Fasonara, mentre innaffiava l’orticello di pomodori, melenzane e cocomeri; era il mese di luglio - diceva - il caldo era molto, molto potente ed io ero sotto una pianta di "muluni russu" (anguria rossa), era grandissima e mi faceva ombra, mio padre mi sentì piangere e mi prese e subito mi portò da mia mamma" concluse la bambina. La storia più fantastica la raccontò Ciccinedda che disse che suo padre l’aveva trovata sotto una pecora che "cacava" (defecava); perciò suo padre la prese subito in braccio e la pulì con un tovagliolo e la condusse da sua madre che l’abbracciò amorevolmente e la baciò tutta. E qui tutte quante ci siamo messi a ridere a crepapelle pensando alla puzza che Ciccinedda doveva fare. "Mio padre, invece, mi trovò dentro una scatola vuota - disse Pietra, che suo padre era proprietario di una merceria - mentre tirava fuori tutti i merletti e le tovaglie da tavola". Concettina, invece, era stata trovata da suo padre vicino al fiume ed era tutta infreddolita e tremava visibilmente; suo padre l’aveva presa e l’aveva avvolta premurosamente con alcune foglie di canneto e poi l’aveva portata a casa; era il mese di febbraio: il mese più freddo dell’inverno. "Io - disse Pippina - sono stata trovata nel mese di giugno. E vedete questa cosa rossa che ho vicino all’occhio? E’ stato perché mio padre mi ha trovato sotto un albero di albicocche, la quale l’albicocca è caduta e mi è finita nell’occhio! Per questo piansi molto e mio padre mi prese e mi portò da mia mamma". "E ora zitti tutti - disse Rosa - perché a quest’ora se non fosse stato per mio padre io sarei americana!" e noi incuriositi ci chiedevamo: "ma come mai? Perché cosa è successo? Dove ti ha trovata tuo padre?" e lei ci spiegò che suo padre l’aveva trovata mentre camminava per la strada principale per andare a lavorare in un altro paese e mentre guardava i camion degli americani, che stavano entrando in paese, sentì un vagito: "Così mi ha preso subito e mi ha nascosto nel "Tascappano" (sacca di tela) … Era durante il periodo di guerra, se mi avessero trovato gli americani a quest’ora sarei in America e non qui!". "Ed io - disse Antonia - che mio padre mi ha trovato mentre tuonavano i cannoni degli americani, piangente vicino ad un "zucco di racina" (vitigno d’uva) con una foglia sopra la mia faccina e che mi stavo soffocando". Ad un certo punto ricordo che ci interruppe Concettina con una domanda sconcertante: "Ma io vorrei sapere e mi domando: i nostri padri si ci trovano in diversi posti! Ma chi è che ci mette lì?" Tutte ci siamo guardate e non sapevamo dare una risposta. C’era chi rispondeva: "Mah!", c’era chi diceva: "Boh!", chi diceva: "Non lo so!" ma risposi io che ero preparata sull’argomento e dissi: "Ma non lo sapate?! Sono gli angeli che ci calano dal cielo! Non ve l’ha detto vostra madre?". Mentre discutevamo su questo Mariuzza disse: "Finalmente siamo arrivate!". "Mamma Mia! - esclamammo tutte quante - quant’è bella questa campagna!". Così ci dividemmo tutti ed ognuno di noi cercava: chi sotto un albero, chi vicino ad un muretto, chi sotto un cavolo, chi sotto la vigna, e via di seguito. Ognuno di noi aveva scelto un posto ben preciso. Tutto ad un tratto sentimmo Concettina gridare con voce tremolante ed emozionata: "Venite, Venite tutte! Ho trovato forse un bambino!". Noi tutte felici e impazzite siamo corse verso Concettina, prima gioiendo della notizia ma poi una paura mistica ci invase nel vedere che dietro un cespuglio di canneti secchi c’era qualcosa che si muoveva. Sentimmo provenire dei rumorini e con le orecchie tese e le faccine bianche dissimo ad Antonia che era la più grandicella: "Vai a vedere tu che sei più grande!", "No! Vacci tu Mariuzza che sei più "sperta" (intelligente)", "Io no! Ho paura". Nessuno aveva più il coraggio di andare a vedere cosa c’era sotto quel cespuglio. Ma fu Turuzza, la più coraggiosa fra di noi , che si avvicinò al cespuglio e con tutte e due le mani tolse via le "fratte" (canneti) e con grande sorpresa vedemmo che non si trattava di un bambino ma, bensì, di un coniglietto bianco ferito. Oh, che amara delusione. Tutta la nostra fatica, tutto il nostro cercare: per un coniglietto. Così stanche e amareggiate ci mettemmo a sedere su di una "rocca di carcinaru" (pietra calcarea) e ci guardammo negli occhi fino a che la più piccola tra di noi: Rosa, si mise a piangere ininterrottamente dicendo che voleva andare a casa dalla mamma. E tutte piangemmo insieme a lei per la delusione. Dopo un po’ giunse alle nostre orecchie un rumore di zoccoli e alzando gli occhi verso il viottolo abbiamo visto, con un sospiro di sollievo, che si trattava dello ‘Zzi Turiddu e di suo figlio Peppe che si avviavano verso di noi in groppa alla mula. Sorpresi nel vederci ci chiesero: "Ma cosa fate qui, a quest’ora sole senza i vostri genitori?"; Carmelina rispose ingenuamente: "Siamo venute qui in campagna per cercare qualche bambino!", "Perché - chiese ancora lo ‘Zzi Turiddu - qualcuno di voi si è perso?", "No! - continuò Carmelina - cerchiamo un bambino, come i padri quando ci trovano; anche noi vogliamo trovare un bambino". Lo ‘Zzi Turriddu si volle fare la croce con la "manu manca" (mano sinistra) e sorridendo e alzando gli occhi al cielo ci disse: "Voi non li troverete ne ora ne mai, perché l’angelo del paradiso cala i bambini dal cielo quando intravvede dei papà che lavorano; e piano piano, senza farsi accorgere, li poggia proprio vicino dove i papà li debbono trovare". "Ora per questo? - disse Concettina - che abbiamo trovato il coniglietto e non il bambino! Perché l’angelo ha visto noi e non i papà!" Peppe, che non riusciva a trattenere le risate, avvicinandosi a Concettina gli disse: "Ma così "babbe" (credulone) siete? Non lo sai che i bambini li fanno le mamme?", "E come le fanno?" chiese Concettina, sorpresa, "Io non lo so di preciso - disse Peppe - però ti dico una cosa che mi sono accorto che quando due si sposano, come i nostri genitori, non ti sei mai accorta che dopo un po’ gli cresce la pancia alla mamma? Ma che dico pancia, un pancione grosso grosso. E dopo un po’ di tempo, facci caso - insistette - vedi che proprio in quella casa dove c’è quella mamma grossa grossa nasce per davvero un bambino". Così Concettina sconvolta andò dalle altre bambine e gli raccontò tutte quelle stranezze che gli aveva detto Peppe. "Impossibile!" dicevano tutte; "Si io mi ricordo qualche mamma grossa grossa. Ma impossibile!" nessuno riusciva a crederci. Così lo ‘Zzi Turriddu ci accompagno in paese. E da allora in poi ogni volta che si sposava qualcuno non potevamo fare a meno di notare che dopo un certo tempo alla ragazza cresceva un pancione grosso grosso e dopo un po’ di tempo ci nasceva un bambino. Allora abbiamo pensato che il figlio dello ‘Zzi Turiddu: Peppe, aveva ragione. Ma ci sorse un altro dubbio: Ma chi ci li metteva i bambini in quel pancione? Mah! Era un mistero.

Questo dubbio ce lo tenemmo fino all’età di quindici anni; fin quando iniziammo ad intuire qualcos’altro. Il mistero ci veniva completamente svelato quando per la prima volta diventammo madri anche noi. Solo allora abbiamo compreso che il mistero della vita supera ogni fantasia. Così quando per la prima volta stringemmo un nostro bambino, nel vederlo così perfetto in tutti i particolari: le mani, le gambe, la faccia, ecc.., la vera emozione, il vero miracolo della vita ce lo siamo ritrovate tra le braccia.

Oggi sono nonna e confrontando l’infanzia di allora con quella di ora mi rendo conto che i bambini di oggi, l’innocenza come la intendevamo noi non la conoscono affatto. E quando per la prima volta la mia nipotina di cinque anni mi ha chiesto: "Nonna! Ma come nascono i bambini?" io le ho risposto, accarezzandogli la faccina: "Amore mio, i bambini nascono con l’amore, con il dolore ed è lo spettacolo più divino della natura".