I Comuni

Una volta riordinato il regno di Sicilia, Federico decise di volgere la sua attenzione ai comuni dell’Italia settentrionale coi quali aveva evitato ogni rapporto. Dopo che i Comuni avevano riportato la vittoria su Federico Barbarossa, le cose erano cambiate notevolmente rispetto alla Pace di Costanza del 1183. Le città potevano ormai considerarsi come dei piccoli Stati, con territorio ed una propria organizzazione, per cui si erano allentati i rapporti feudali che li tenevano legati al Sovrano. E la necessità di espandere la propria influenza dava luogo a lotte e guerre di conquista verso i territori adiacenti. La vita nella città si era notevolmente complicata, e le varie fazioni spesso venivano in lotta tra loro per la supremazia e la gestione della cosa pubblica. Era nata la borghesia, formata da artigiani e commercianti, che cercava il sopravvento sui nobili che dalle campagne si erano trasferiti in città.

Intanto in Germania divampavano le lotte tra opposte fazioni: i sostenitori della casa sveva erano detti ghibellini, mentre il partito che sosteneva Ottone di Brunswich era detto guelfo. Per analogia, anche in Italia il partito che sosteneva la causa imperiale venne detto ghibellino, e guelfo quello che aderiva alla causa del papato; questi termini però non vanno presi alla lettera, perché alla fine erano gli interessi comuni che spingevano gli uni contro gli altri, le consorterie dei nobili contro le associazioni borghesi. In linea di massima, comunque, la nobiltà feudale trovava l’appoggio dell’Impero, mentre la borghesia l’appoggio del partito guelfo. Le città si trovavano in lotta per motivi economici, politici e commerciali, per ciò Firenze era in lotta con Pisa, mentre Milano litigava con Cremona. Per meglio concentrare il potere della città, il governo veniva assegnato ad un Podestà, un magistrato esperto di armi che comandava milizie e tribunali. Questi, appoggiato da una consorteria, tendeva ad assumere il potere della città o del contado, di conseguenza il comune si avviava a diventare una Signoria, ossia una dittatura personale.

Federico tentò di affermare sui comuni la sua autorità imperiale. Per la Pasqua del 1225, indisse una dieta a Cremona, sempre fedele all’Imperatore, convocando i delegati dei comuni lombardi, i feudali del nord Italia ed i principi tedeschi, con lo scopo "ufficiale" di trattare della Crociata e degli eretici. Ma, conoscendo l’assolutismo di Federico, fu chiaro che il suo intento era l’unione delle due corone d’Italia e di Germania. Perciò, quando giunse alle porte lombarde, i Comuni si allarmarono e, a difesa dei loro reciproci interessi, il 6 marzo del 1226, in un congresso tenuto a S. Zenone, presso Villafranca, le città di Milano, Bologna, Brescia, Mantova, Padova, Vicenza e Treviso gettarono le basi per una nuova lega lombarda. Formalizzata l’intesa, vi aderirono Vercelli, Alessandria, Faenza, Verona, Piacenza, Lodi, Bergamo, Ferrara, Crema e Torino.

La lotta era imminente. Federico attese a Ravenna l’arrivo del figlio Enrico dalla Germania con nuove forze. Ma i Comuni, sbarrando le chiuse dell’Adige, lo costrinsero in Trentino per parecchie settimane. Federico cercò di venire a trattative; ma, essendo inaccettabili le condizioni imposte dai Comuni, il 10 giugno del 1226, in quanto investito dall’autorità di crociato, faceva lanciare dai vescovi convenuti a Parma, la scomunica e l’interdizione sui territori dei Comuni. L’11 di luglio, nella cattedrale di Borgo San Donnino, revocò le concessioni fatte con la Pace di Costanza, ordinò la chiusura di tutte le scuole e gli studi, dichiarò i Comuni decaduti dei diritti politici e civili, nonché colpevoli di lesa maestà. Tutto però rimase sulla carta perché, mancando a Federico le forze militari per fare eseguire i provvedimenti elencati, i suoi ordini ebbero l’effetto di una semplice minaccia. E da Ravenna se ne tornò in Sicilia.