L’Università di Napoli

Pervaso dalla cultura e dalla volontà di diffonderla, Federico II, "vir inquisitor et sapentiae amator", fondò l’Università di Napoli. In Italia esistevano varie Università famose nel mondo di allora, in modo particolare quella di Bologna, specializzata nello studio del diritto romano, in virtù della crescente diffusione delle dottrine canonistiche e romanistiche. Famosissima la scuola medica di Salerno, una di diritto a Benevento e varie scuole di grammatica. Erano scuole private e libere, come liberi erano del resto gli Studi del tempo. Nicolò Jamsilla, che narrò le ultime vicende di Federico e di Manfredi, dice che pochissimi erano i letterati del tempo, nel meridione d’Italia, dopo le traversie e le funeste vicende subite in seguito alla morte di Gugliemo II. Federico, istituendo l’Università di Napoli, intendeva aprire le porte del suo regno al diritto romano, su cui andava costruendo il suo programma imperiale, per formare persone colte e funzionari che sarebbero stati necessari e indispensabili alla gestione del suo nuovo Stato burocratico. Il diploma di fondazione fu redatto a Siracusa nel 1224. L’Università di Napoli sorse quindi in contrapposizione a quella di Bologna, con cattedre di filosofia, di "ars dictamini", teologia, diritto, per iniziativa governativa e finanziata dallo Stato, mentre gli altri Studi, in generale, erano nati per l’accorrere degli studiosi intorno ad un maestro di grido, quasi per un processo di generazione spontanea. Ed essendo uno Studio di Stato, non poté non risentire delle alterne vicissitudini del regno. Fu sua gloria l’aver partorito il concetto della sovranità dello Stato, in quanto tutore degli interessi della collettività sociale, ma purtroppo la ricerca universitaria fu soffocata e danneggiata sia dai controlli statali, che quindi venivano dall’alto, sia per le istituzioni rimaste identiche ed immutate per tanto tempo. Aperta nel 1234 a tutti gli Italiani, l’università di Napoli sostenne aspre battaglie, fu soppressa da Corrado, ristabilita da Manfredi, per poi sotto gli Angioini raggiungere il suo apice di grandezza che si tramanda fino ai nostri giorni.

Ammirevole il frontone della Nuova Università degli Studi di Napoli, scolpito nel 1911 da Francesco Jerace, in cui la stupefacente figura di Federico Imperatore, cristiano e pagano, poeta e guerriero, artista e filosofo, musicista ed esteta, mistico ed epicureo, fastoso, grandioso e parco, terribile nelle ire, divino negli amori, è rappresentato nell’atto di ascoltare la lettura dello statuto di fondazione dell’Università. Circondato dalla sua corte, dai suoi amici, dai suoi poeti, dai suoi saggi, Federico ascolta Pier Delle Vigne mentre tutt’intorno sfilano i sommi del tempo: Taddeo di Suessa, il Cassinese Erasmo, Bastiano Pignatelli, Antonio Vandale, il Conte di Acerra, Filippo Castricieli, Piero da Isernia, Andrea di Capua, Michele Scoto, Reginaldo da Piperno, di cui Federico si soleva circondare, sia per andare con essi a scrutare le stelle in una notte serena di Puglia o di Sicilia, sia per indugiarsi nei campi a trarre oroscopi o a ragionare di poesia, o ingolfarsi in dibattiti di filosofia e di magia. In quel frontone appare tutto quel mondo di lotte, di ansie, di conquiste e di vittorie; tutte le passioni di quel secolo che si compendiarono nell’immortale figura di Federico; tutti i sogni di grandezza, di arte, di sapere, che egli comunicò alla sua corte di musici e di filosofi, di dotti e di guerrieri; tutta la febbrile attività di quei cuori e di quei cervelli che palpitavano attorno ad un solo cervello ed a un solo cuore. Quello di Federico.

Mi piace riportare per intero l’editto di fondazione, nel quale echeggiano concetti e disposizioni attualissimi ai nostri giorni, per i privilegi e gli incoraggiamenti che seppe elargire agli studenti.

Così recitava l’Editto emanato da Federico II e riportato nella Chronica di Riccardo di San Germano:

"Federico, eccetera, a tutti gli arcivescovi, vescovi, prelati delle chiese, conti, baroni, giustizieri, giudici, balivi ed a chiunque sia investito d’autorità del Regno di Sicilia, eccetera.

Con l’aiuto di Dio, per il quale viviamo e regniamo, al quale, attribuiamo tutto quanto di bene facciamo, desideriamo che nel nostro regno molti divengano prudenti e sagaci per sete di scienza e diffusione di dottrine, i quali risultando essersi approfonditi attraverso lo studio e l’osservazione del diritto, servano giustamente Dio al cui servizio sono tutte le cose, e piacciano a noi col culto della giustizia, ai cui precetti intimiamo tutti obbediscano.

Disponiamo pertanto che presso l’amenissima città di Napoli siano insegnati le arti e gli studi che regolino qualsiasi professione, affinché coloro che sono digiuni e avidi d’apprendere nel Regno, trovino colà di che soddisfare la loro brama, né siano costretti a dover peregrinare e andare mendicando in regioni straniere per la ricerca delle scienze. Miriamo infatti che ne derivi un vantaggio al nostro impero, mentre provvediamo, per particolare grazia d’affetto, al vantaggio dei nostri sudditi, nella speranza sfolgorante che ciò favorisca la loro erudizione, e nell’attesa che da animi solleciti derivi abbondanza di beni, non potendo risultare sterile l’accostarsi alla bontà conseguente alla nobiltà, cui preparano i tribunali, derivano guadagni, si pongono a raffronto il favore e la grazia delle amicizie.

Richiamiamo al nostro servizio, non senza grandi meriti e lodi, uomini studiosi, affidando l’amministrazione della giustizia a coloro che siano provveduti di studi giuridici.

Siate dunque solleciti, e con gioia, alle professioni desiderate dagli scolari, ai quali destiniamo, perché vi abbiano dimora, quel luogo dove abbondino i mezzi, dove sia per loro alloggio sufficientemente ampio e spazioso e dove i costumi sono per tutti benevoli, e dove esiste facilità di trasporti, per terra e mare, di tutto il necessario alla vita degli uomini. E per essi ricerchiamo noi stessi vantaggi, diamo disposizione, facciamo ricerca di maestri, promettiamo beni e conferiamo donazioni a coloro che giudicheremo degni. E, per così dire, li poniamo sotto gli occhi dei loro genitori, li solleviamo da molte fatiche, li liberiamo da lunghi viaggi, e, quasi, dal pellegrinare. Li rendiamo sicuri dalle insidie dei predoni, e coloro che andando peregrini in lontane terre erano spogliati delle loro fortune e dei loro averi, goderanno con sicurezza, per la nostra liberalità, delle loro scuole, a minor spesa e con breve percorso.

Riguardo al numero dei periti che disponiamo di destinare colà, abbiamo dato incarico a maestro Roffredo di Benevento, giudice e fedele nostro professore di scienza civile, uomo di grande sapere e di nota e provata fedeltà, che sempre manifestò alla maestà nostra, nel quale, come negli altri fedeli del nostro Regno, abbiamo la massima fiducia.

Vogliamo pertanto e ordiniamo, a voi tutti che reggete le province, presiedete alle amministrazioni, che rendiate pubbliche e intimiate tutte queste cose in ogni luogo, sotto pena delle persone e delle cose, che nessuno osi uscire dal regno per motivi di studio, né che entro i confini del Regno osi apprendere o insegnare altrove, e che intimiate, sotto la pena predetta, ai genitori di coloro che frequentano scuole fuori del Regno, di farli ritornare entro la festa del prossimo San Michele.

Queste sono le condizioni accordate agli studenti. In primo luogo che nella città predetta saranno dottori e maestri d’ogni disciplina. Quanto agli studenti, da qualsiasi luogo provengano, potranno trattenersi, dimorare e far ritorno, garantiti tanto nella persona quanto negli averi, senza subire alcun danno. Di quanto meglio dispone la città in fatto di alberghi sarà dato in affitto agli studenti contro una pensione di due once d’oro, senz’altri carichi. Tutti gli alloggi saranno attribuiti in base alla valutazione di due cittadini e di due studenti, nei limiti della somma predetta e non oltre quella. Agli studenti sarà fatto un prestito da coloro che sono di ciò incaricati, saranno dati libri in prestito con carico di restituzione, garantiti gli scolari che li abbiano avuti. Quanto agli studenti che abbiano ricevuto un mutuo, non lasceranno il regno finché non abbiano restituito il prestito stesso, o abbiano restituito quanto avuto a titolo precario, sia che il prestito sia soddisfatto dagli stessi o che il credito sia stato tacitato altrimenti. I predetti precari, poi, non saranno revocati dai creditori finché lo studente voglia rimanere nello studio napoletano. Tutti debbono essere sottoposti ai loro dottori e maestri. Non fisseranno alcun limite riguardo al frumento, il vino, le carni e i pesci e le altre cose che facciano comodo agli studenti, poiché di tutte quelle cose abbonda la provincia, e saranno vendute agli studenti secondo le modalità con cui sono vendute ai cittadini, anche per contratto.

Voi peraltro, invitati a così grande e così lodevole opera Qq e studio, avete da noi la promessa che saranno osservate le condizioni a voi prescritte e che da noi sarà reso onore alle vostre persone, e che sarà disposto perché da tutti sia resa osservanza a quanto disposto.

Dato a Siracusa, il giorno 5 giugno, XII anno dell’indizione".