1220-1224 Lo stato siciliano

Dopo nove anni di assenza, Federico tornava in Sicilia insignito della corona imperiale e ricco di tanta esperienza. Subito iniziò una profonda opera di restaurazione amministrativa e politica dello stato, praticamente allo sfascio, e si trovò di fronte a problemi completamenti diversi da quelli lasciati oltralpe. Dal 1220 al 1231 emanò una serie di editti, poi riassunti nelle cosiddette "Costituzioni melfitane", coi quali sembra abbandonare la concezione medievale per attestarsi, da vero statista, nell’ottica e nella concezione della politica rinascimentale. Lo stato viene identificato dalla sua persona, e pone il suo potere al di sopra di tutto, mettendo da parte perfino la morale pur di raggiungere il fine prefissato. Cerca l’utile, è calcolatore e spregiudicato, è simulatore: in questa sua rincorsa alla ricerca di un potere assolutistico, a qualsiasi costo, precorre il "tiranno" del Machiavelli. La Sicilia era in preda al caos, con le classi privilegiate ed il clero che pretendevano autonomia, la presenza dei musulmani che generava disordini, le città marinare che godevano ampi privilegi. Ma dal momento che queste forze centrifughe si dimostravano meno forti che in Germania, si presentavano a Federico "come una forza grezza e duttile, atta a lasciarsi plasmare secondo le sue idee e la sua volontà". Egli mirò a trasformare lo stato feudale siciliano in uno stato burocratico ed amministrativo, con uomini fidati scelti da lui e che a lui dovevano rispondere. Ebbe la fortuna di circondarsi di persone intelligenti, giuristi formatisi nello studio e nella interpretazione del diritto romano, di cui è pervasa tutta la sua legislazione. Basti ricordare Pier delle Vigne, Taddeo di Suessa e Tommaso da Gaeta.

Con le sue leggi cerca di ripristinare l’ordine e la giustizia, andate perdute dopo le guerre di successione, e di tornare quindi ai tempi di Guglielmo il Buono.

Assise di Capua

Istituzioni e rapporto fra Stato e persona: garantisce alla Chiesa le entrate godute secondo la vecchia consuetudine; condanna la legge del taglione, di farsi giustizia da sé, e di sottoporre ogni questione alla giustizia amministrata dallo stato; vieta di circolare armati di lancia o coltelli, sia in città che fuori; prende misure contro la delinquenza, garantendo l’ordine pubblico; richiama i magistrati di attenersi all’adempimento del loro dovere, evitando la corruzione; ordina che i castellani non si intromettano nell’amministrazione della giustizia, e facciano riferimento all’autorità costituita; abolisce i tributi imposti dopo la morte dei suoi genitori, Costanza ed Enrico; ricostituisce il patrimonio demaniale e richiama in vigore i diritti della Corona sui possessi feudali; le autonomie comunali devono essere amministrate da funzionari regi; dal momento che durante la sua minorità e l’imperversare del governo di Marcovaldo erano stati falsificati numerosi documenti per l’attribuzione di concessioni e privilegi, ordina una revisione degli stessi per essere revocati o confermati; ordina lo smantellamento di tutti i castelli che i nobili avevano costruito dopo il 1189, a salvaguardia dei loro interessi. Tutte queste leggi, cosa non da poco, furono attuate senza colpo ferire!

1221 Assise di Messina

L’Imperatore emette nuove leggi per regolare l’ordine e la moralità pubblica: disciplina i giuochi d’azzardo; condanna la bestemmia; rispetto della religione e del culto; nobili e plebei, violando la legge, devono essere puniti; ordina agli ebrei di portare sul vestito un segno distintivo di colore celeste e, a seconda dell’età, una folta barba (Quod ad honorem et gloriam Crucifixi disponere melius cupientes, edictum Iudeis omnibus proponimus generale, ut eorum quilibet super vestimenta que induet gestet lineum vestimentum clausum undique et tictum colore celesti, et secundum sue tempus aetatis barbum nutriat et barbatus incedat, ut hec inter orthodossos et ipsos sit differentia generalis, per quam mutuo discernatur et possint melius ab illicitus abstinere. Qui …. ferro candenti caturientur in fronte. Sancimus ut mulieres hebree super rudello vel pallio quo se tegunt, bendam deferant tinctuam colore celesti ….. quod signum sit omnibus Iudaysmi).

Federico profuse grande impegno per sminuire e rendere inoffensiva la potenza dei tanti feudatari del meridione d’Italia. La sua politica, al riguardo, fu senza scrupoli, ma dovette lottare aspramente per avere la meglio su personaggi a lui ostili, che sostituì con altri a lui fedeli: salvo disfarsi anche di questi, qualora le circostanze lo richiedessero. Tre anni durò la lotta per estromettere Tommaso da Celano, conte di Molise, dai suoi feudi, mettendo al suo posto Tommaso d’Aquino. Nel 1223, Celano fu distrutta, Riccardo Conti di Segni, fratello di Innocenzo III, fu allontanato dalle sue terre, e furono arrestati i conti di Tricarico e di Caserta che, a suo tempo, avevano parteggiato per Ottone III. I beni di costoro, come di tanti signorotti che spadroneggiavano sulle loro città, venivano confiscati ed annessi al demanio.

Fatta abbassare la testa ai feudatari, Federico rivolse la sua attenzione agli stranieri che la facevano da padroni sull’Isola, in modo particolare le potenze marinare di Genova e Pisa. Queste, infatti, avevano col regno di Sicilia particolari e privilegiati rapporti di commercio, ed erano esentate dal pagamento dei tributi. Soprattutto Genova spadroneggiava in Sicilia, tramite il corsaro Alemanno da Costa, che si era impadronito di Siracusa, e Guglielmo il Porco. Con la promulgazione dell’Assise "De resignandis privilegiis", Siracusa fu avocata allo Stato, e la potenza dei genovesi e dei pisani, con l’abolizione di ogni privilegio, ridotte rispetto al passato. Federico aprì cantieri navali ed in breve tempo fu costruita una forte flotta navale, come ai tempi dei Normanni.

 

I Saraceni

Nella costruzione assolutistica dello stato di Sicilia, un grave problema si presentava a Federico, e cioè la presenza dei musulmani. Da secoli, sin dai tempi dei normanni, questi si erano installati nell’Isola dove godevano notevole libertà di culto, di religione, privilegi ed immunità. Per meglio difendersi dalle autorità, si erano sistemati nella parte centrale montuosa, e si erano asserragliati costruendo roccaforti e fortificazioni. Rappresentavano quindi una spina nel fianco di Federico che li combatté per circa quattro anni, dal 1221 al 1224, non per motivi religiosi, ma esclusivamente per ragioni politiche. Alla fine ebbe la meglio facendo impiccare a Palermo l’emiro Ibn Abbad e tutti i suoi figli. Ma, ciononostante, i Saraceni creavano problemi non indifferenti alla sua opera di organizzazione politica, per cui, e qui sta la sua geniale trovata, li fece deportare in massa in Puglia, nella città di Lucera, ed una piccola parte in Calabria e Campania. Con questa manovra otteneva un duplice scopo, economico e militare. Economico, in quanto li destinò al dissodamento ed alla coltura del Tavoliere della Puglia, trasformandolo adatto ai pascoli ed alla produzione di prodotti agricoli; militare, perché controllava e rafforzava la principale via d’accesso al Regno. Tutto il territorio fu fortificato con la costruzione di una serie di castelli e fortezze inespugnabili, quali i castelli di Lucera, Foggia, Castel del Monte, Lagopesole, Palazzo S. Gervasio, Castello Ursino di Catania. A Foggia fece costruire, dall’architetto Bartolomeo, una reggia che fu poi una delle residenze favorite nei suoi frequenti periodi di soggiorno. Questa zona continentale del suo Regno divenne il centro gravitazionale della monarchia siciliana. I Saraceni si mantennero fedelissimi a Federico che li lasciò liberi di professare il loro culto, di mantenere le loro usanze, e di eleggere il loro capo (kadì). In segno di simpatia, amò spesso soggiornare in mezzo a loro, e questi, come riconoscimento, contraccambiarono donando spesso la loro stessa vita per la causa dell’Imperatore. Il Papa, che avrebbe voluto la loro conversione alla religione cattolica, accusò l’Imperatore di provocare scandalo, ma lui, molto tollerante verso le altre religioni, fece orecchio da mercante alle violente critiche papali, orgoglioso d’avere trasformato una forza ostile allo stato, in un valido sostegno per esso. La colonia saracena di Lucera fiorì fino al 1302 quando, la ferocia di Carlo II d’Angiò ne decretò la distruzione, vendendo come schiavi i superstiti allo sterminio.

A Foggia, nel 1223, anno del suo fidanzamento con Isabella, figlia di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme, fece iniziare la costruzione di una reggia che divenne una delle sue residenze preferite, soprattutto per la sua posizione geografica. Questa regione, più che la Sicilia, era considerata da Federico come il centro gravitazionale del suo regno: ed anche i suoi successori si sposteranno da Palermo a Napoli.