Liber augustalis o Costituzioni melfitane, (1231)

Rifacendosi alle riforme attuate nel 1220, Federico ordinò la revisione dei titoli e dei privilegi di cui godeva la feudalità, sia per eliminare abusi ed usurpazioni, ma anche per diminuire il peso della loro autorità. Per tutto il 1231 furono fatte inchieste e processi; lo stesso Rinaldo di Urslingen, duca di Spoleto, riconosciuto colpevole di avere male amministrato l’erario e persino di avere, in assenza dell’Imperatore, complottato con lo stesso Papa, fu condannato alla confisca dei beni. Come ricorda Riccardo di S. Germano, fu dichiarata una lotta accanita contro: "Falsariis, aleatoribus, tabernariis, omicidiis, vitam sumptuosam ducentibus, prohibitis arma portantibus et de violentiis mulierum".

L’opera prima di Federico fu di avere studiato e promulgato un corpo organico di leggi, anche se precedentemente non erano mancate isolate disposizioni di carattere locale e contingente. Per ordine dell’Imperatore, le nuove leggi furono promulgate dal giustiziere Riccardo da Montenero, il 1^ settembre del 1231. La raccolta delle leggi é contenuta nel Liber Constitutionum Regni Siciliae o Liber Augustalis, ma comunemente vengono chiamate Costitutiones Melphitanae, dalla città di Melfi, dove vennero promulgate. Tuttora si discute sulla giusta attribuzione della paternità della raccolta di queste leggi, poiché lo stesso Federico ne vanta il merito. Appare però autore anche l’arcivescovo di Capua, Giacomo Amalfitano, dal momento che lo stesso Gregorio IX in una lettera lo rimprovera di avere inserito disposizioni avverse agli interessi della Chiesa. Il vero artefice, secondo la tradizione, dovrebbe essere Pier delle Vigne, anche se si è propensi a credere che tutta la raccolta sia stata frutto di un lavoro collettivo durato alcuni mesi.

Il Liber Augustalis si fonda sul diritto romano, ma vi trova spazio anche la tradizione normanna dal momento che vi sono inserite ben 65 leggi che si rifanno a quella cultura ed a quelle consuetudini. Il codice ebbe grande risonanza e diffusione nel regno, visto che fu tradotto in greco per essere meglio compreso ed applicato da buona parte della popolazione che parlava questa lingua.

Secondo Besta, il Liber Augustalis rappresenta il più grande monumento legislativo laico del Medio Evo, mentre per Kantorowicz "è l’atto di nascita dello stato amministrativo moderno". Con queste leggi, che riaffermano l’universalità del diritto romano, Federico, che si ispira a Cesare, a Teodosio ed a Giustiniano, vuole combattere la frammentazione dello stato feudale eliminando i poteri intermedi ed avocando a sé ogni prerogativa di potere, unico ed indivisibile.

Le Constitutiones sono divisi in tre libri (255 titoli):

il primo riguarda il diritto pubblico (109 titoli)
il secondo, la procedura giudiziaria (52 titoli)
il terzo, diritto feudale, privato e penale (94 titoli)

Secondo Federico, la funzione dell’Imperatore, che in base alla sua mistica concezione è il rappresentante di Dio sulla terra, è di dirimere le discordie e di reprimere, utilizzando le leggi per portare l’uomo sulla retta via. Della Sicilia, non ancora disgregata da forze feudatarie, vuole fare uno Stato modello, d’esempio a tutti gli altri regni.

Ecco il contenuto a grandi linee:

il potere regio viene ampliato, per cui baroni e città sono privati dei diritti che si erano attribuiti abusivamente; la giustizia penale appartiene al re ed ai suoi magistrati;
divieto di portare armi senza autorizzazione
non è permessa la vendita dei feudi, in quanto appartengono allo Stato;
gli ecclesiastici sono soggetti ai tribunali comuni, non possono giudicare gli eretici, non possono acquistare terre; se ne hanno in eredità, devono venderle;
le città non possono costituirsi a comune, eleggere consoli o podestà, pena il saccheggio e la condanna a morte per i capi;
tutti i sudditi devono pagare i tributi regi;
sancisce l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, difende i deboli contro le prepotenze baronali, abolisce il giudizio di Dio, organizza la magistratura e gli uffici.

In tutto ciò appare la modernità di Federico che, superando la concezione feudale germanica, ritorna alla tradizione romana affermando l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Federico elimina il potere dei baroni, del clero e delle città, e tutte le funzioni giuridiche ed amministrative vengono esercitate dal re per mezzo di una organizzazione burocratica centrale, posta alle sue dipendenze. I magistrati sono stipendiati dallo Stato ed eletti per un solo anno, salvo riconferma. Per garantire gli introiti necessari alla vita del regno, crea un saldo sistema finanziario, basato sulle imposte dirette, con organi incaricati della riscossione. Organizza inoltre un esercito regolare di Saraceni, per non dipendere dai baroni e dai comuni che spesso si sottraevano agli obblighi di fornire la milizia.

Ordinamento politico: gli organi centrali sono il Sovrano, i grandi ufficiali della Corona, la Magna Curia ed il Parlamento. Al vertice sta il re, il solo che possa fare le leggi, dal momento che il suo potere gli deriva direttamente da Dio. Al suo fianco stanno i grandi ufficiali della Corona, i moderni ministri con funzioni ed attribuzioni ben definite. Questi erano cinque presso la corte normanna, ma Federico ne aggiunge altri due. E qui risiede la sua modernità: i ministri non sono scelti tra i nobili feudali, come avveniva in passato, ma tra la gente di cultura, come notai e giuristi. Essi sono così chiamati: Grande Ammiraglio, Gran Protonotaro o Logoteta, Gran Camerario, Gran Siniscalco, Gran Cancelliere, Gran Connestabile, Maestro Giustiziere. La Magna Curia, sotto il Maestro Giustiziere, rappresenta la Suprema Corte di Giustizia, con funzioni ispettive e di controllo su tutti i funzionari. Il Parlamento, infine, era un’assemblea generale alla quale potevano partecipare, i feudatari, i rappresentanti delle Università, ed i Comuni demaniali, per essere messi a conoscenza delle leggi promulgate dal sovrano e non per discuterle od approvarle. Potevano però fare presente eventuali necessità. Così infatti Federico scriveva ai Comuni demaniali: "Duos nuntios vestros ad nostram presentiam destinatis, qui pro parte vestrum omnium serenitatis vultus nostri prospiciant et nostram vobis referant voluntatem". Ai Parlamenti generali o Curie, fanno riscontro le assemblee provinciali, presiedute da un giustiziere. Amministrativamente il Regno era diviso in due capitanerie generali ed in undici giustizierati che, grosso modo, corrispondevano alle attuali province. Il giustiziere aveva vasti poteri amministrativi e giudiziari, ed era coadiuvato da giudici e notai nominati dal re. In questo modo la potenza e l’autonomia dei baroni era ridotta a quella di un funzionario regio, sotto il controllo del giustiziere. I comuni aspiravano evidentemente ad avere una certa autonomia, come le città dell’Italia settentrionale (more civitatum Lombardiae et Tusciae); ma Federico non poteva certo concedere alle città siciliane l’autonomia che vantavano i comuni del nord che andava combattendo: pena la loro distruzione. Infine i baiuli ed i giudici, eletti dal potere centrale, esercitavano il loro potere nelle città, considerate come demaniali, quindi possedimenti dello Stato.

Al vertice delle finanze c’era la Magna Curia Rationum, una specie di corte dei conti, con funzioni ispettive; mentre accanto al giustiziere vi era un camerario. Sono introdotti i monopoli sul sale, sulla seta, sul ferro e sul grano, ma sono abolite le dogane interne, per facilitare i commerci tra le varie province; mentre sono ridotti notevolmente i privilegi commerciali che godevano Pisa e Genova. Vengono unificati pesi e misure, coniate monete d’oro, dette "imperiali" ed "augustali", ricostruita una flotta, ed invogliata l’agricoltura con l’introduzione di nuove culture (cotone, canna da zucchero) e la costruzione di masserie. Dopo questi provvedimenti in tutto il Regno di Sicilia si nota il rifiorire della vita economica, e quindi un certo benessere.

L’annoso problema dei comuni d’Italia recalcitranti ai suoi voleri, era una spina nel fianco di Federico, per cui si rendeva più che mai necessario regolare i loro rapporti con la sua autorità imperiale. Per questo indisse una Curia generale a Ravenna per il 1^ novembre del 1231, invitando i principi tedeschi ed i rappresentanti dei comuni. L’oggetto del convegno era: ridare pace all’Impero, dare prosperità e pace all’Italia, eliminare i dissidi tra le città ed i popoli vicini, eliminare ogni odio e disordine. Ma i comuni lombardi, insospettiti che il figlio Enrico scendesse in Italia con un esercito, piuttosto rinnovarono la lega antimperiale, e tentarono di sbarrare la via dell’Adige alle truppe tedesche. Federico questa volta aveva veramente bisogno di prendere tempo, anche perché era entrato in disaccordo col figlio che in Germania stava attuando una politica contro gli interessi dell’Impero, favorendo i comuni tedeschi per limitare le pressanti richieste dei signori feudali. In ogni caso Enrico si sottomise alle richieste del padre, ad Aquileia nel 1232, e Federico ne approfittò per mettere al bando dall’Impero i comuni della Lega. Non avendo però forze sufficienti per fare applicare tali disposizioni, chiese la mediazione del Pontefice Gregorio IX che, di buon grado accettò, pur di non fare prevalere né l’uno né gli altri. Federico mandò come ambasciatore a Roma Pier delle Vigne, con la richiesta di annullare la Pace di Costanza, e quindi l’abolizione della Lega. Gregorio IX nel giugno del 1233 propose invece il ritorno allo "statu quo ante", lasciando scontento Federico, che dovette suo malgrado accettare. Importante fu per l’Imperatore avere ottenuto l’amicizia di Ezzelino III da Romano che, essendosi impadronito della città di Verona e dei territori circostanti, assicurava una facile via d’accesso alla Germania.