IL RITORNO

Son tornati a cantare i pettirossi
sulle siepi di ligustro tra le purpuree bacche,pigolando saltellano felici
sui rami di ciliegio senza foglie;
son tornati a danzare armoniosi
i canarini sulle verdi foglie del biancospino.
Tra i cespugli in germoglio
scriccioli, merli e fringuelli
leggiadri saltellano
come api in continuo viavai dal favo
ai pistilli odorosi.

Anch'io son tornato al mio nido natio
col cuore in subbuglio.
Il mandorlo ho visto adornato di candidi fiori,
il corto orizzonte di sempre,
del borgo le case di lucido gesso,
i vecchi le mani conserte nel grembo
al frusciar d'una foglia protesi,
d'infanzia gli amici fraterni.

Le calde carezze, ricordo, del nonno,
le sue mani a scaldare le mie,
in un gioco di bambini,
ruvide da duro ferro plasmate,
stanche da pesante martello su
incudine a forza battuto,
da duri calli coperte e velate.
Ma calde d'amore,
ridenti d'un sorriso giocoso e sornione.
La sua sotto e sopra la mia,
poi la sua e la mia ancora
in un carosello senza sosta,
posate delicate e leggere
infinite carezze e dolci sguardi.

Nei miei occhi ho il suo viso stampato,
le mie mani protese alle sue
lontane, lontane, impalpabili e fredde,
fantasma vagante e fuggente.
Ma ricordo le sue calde carezze
e ritorno a quel tempo infantile,
accavallo le mani, lo sento, mi sente,
giochiamo.


E quel rosso papavero che adornava
un gran prato di sgargianti colori,
giallo, un bel rosa e rosso su tutti,
a corona della sua verde testa rotonda?
Signore, ondeggiava cullato da una timida brezza,
e poi cento, o mille o più mila soldati
al suo cenno muovevan la testa in concerto,
ora tutti a destra, ora a manca,
ora piegati in avanti tirati da mano fantasma,
o indietro curvati, sospinti e respinti,
onde inquiete errabonde in un mare in burrasca.
Alti da terra più spanne,
serrati a coorte come piccolo esercito in battaglia,
sfidavano le ire del cielo
leggeri su stelo robusto e flessuoso.
Api a migliaia ed insetti volavan scegliendo il colore,
saltando tra foglie e pistilli in ordine sparso
succhiavano il nettare ambito.
E noi bimbi a rincorrerci in mezzo,
a chiamarci dispersi tra i gambi,
comparire felici per il gioco novello,
ignari d'infuso calmante e odoroso
che mamma ci donava a riposo.
Ma un giorno, scoperto l'arcano, che in testa
celava cavallo troiano un'arma tremenda,
fu guerra, la guerra dei fiori.
La sua testa reclamano a mille per estrarre gli umori, una polvere bianca che inebria

e che spesso assassina.
Ma per me resti solo un bel fiore,
caro papavero rosso,
il fiore della mia infanzia.

Oh! quel tronco di gelso nodoso! Ricordi?
Eravamo saliti per cogliere i rossi frutti,
quel mattino d'agosto.
Io quasi in cima e tu, sotto,
tenevi un bel secchio già colmo di more odorose.
Il tuo braccio di rosso grondante baciai, e tu,
sollevando il tuo agile corpo sul ramo tremante
un tenero bacio mi desti, rosso d'amore.
Abbracciati restammo, carezzati da tenera brezza
che i rami cullava, e le foglie, ed i frutti, e noi tutti,
ascoltando il sospiro lento del vento.
Estasiati e leggeri volavamo, già alti,
sul prato di rossi papaveri,
come api sul rosmarino odoroso,
inebriate le nari da origano e timo.
Un volo infinito, gli occhi socchiusi,
le palpebre un fremito di ali sospese nel nulla.
Lontano, lontano dal mondo,
nel cielo cullati da nubi sottili e gentili,
su valli e colline giallastre di spighe.
Il risveglio fu dolce, un sorriso addolciva il tuo viso
punteggiato di rosso, anche il mio.
La corsa alla fonte, i vapori di zolfo,
il ritorno alla vita.

Ho sentito la cinciarella, stamani,
di giallo adornata e di blu,
pigolare sui rami del bel melograno
che tra poco, di rossi fiori adornato,
darà vita alla morta natura.
E nel mio cuore è già primavera.

           
Federico Messana