IL TERREMOTO

Mio nonno Federico, geloso custode dell'orologio
della Chiesa, ogni tanto mi portava sulla torre
campanaria per tirare in alto i contrappesi in pietra(màzzare): e ne succedevano di tutti i colori!

"Se vuoi venire, là, sull'orologio,
devi ubbidire e fare quel che ti dico:
in silenzio salir la torre, mogio,
e non toccare niente, manco col dito!".

Ma giunti roteando fin sulla cima,
la testa ti fumava, come un vulcano,
e bisognava sostar solo un pochino,
prima di proseguir verso l'arcano.

Finalmente un portone, ch'era serrato,
si apriva e ti mostrava, meraviglia,
di attrezzi e ruote un grand’apparato,
che ti lasciava stupito come una triglia.

"Attento a quel gradino, porca terra!
Siediti là, e non batter manco ciglia!"
gridava già mio nonno trafelato,
prima ancor che la soglia avea varcato.

Ubbidiente e col fiato trattenuto,
sistemato nell'angolo come ordinato,
assistevo cogli occhi ben sgranati,
alle complicate manovre da scenziati.

Un poco d'olio ad una ruota dentellata
con penna d'oca gelosamente conservata,
una sbirciata al bilanciere dondolante,
una soffiata a un ingranaggio semovente.

Poi, con delicatezza da barbiere anziano,
mise a girare un meccanismo strano,
ed io sbirciando con aria un po’ giuliva
mi accorsi che un gran masso in sù saliva.

"E' la màzzara che tutto manda avanti!"
disse mio nonno, con un tono trionfante,
"Se vuoi provare tu, fa un passo avanti,
ma attento a non mollare, ti rompi i denti!".

Timoroso e con strizza da novizio,
cominciai a girare quell'artifizio,
contento che la pietra quaternaria
saliva lesta per la torre campanaria.

Ma un volo di colombo, disgraziato,
mi distrasse dal lavoro complicato,
e mollai la manovella che in un baleno
provocava un disastro a ciel sereno.

Quel grosso masso che saliva in alto,
libero dell'attacco, tutto d'un tratto
cominciò a rotolare senza più freno,
sbattendo col fragor di un autotreno.

Della chiesa tremaron le fondamenta,
le luci tutte si spenser come d'incanto,
anche la croce si mise a tentennare,
e pure i santi sembravan borbottare.

Il prete che la messa avea cantato,
al fragore che sembrava terremoto
lasciò l'altare correndo a perdifiato,
seguito al volo da tutto l'apparato.

Varcai la porta correndo come un ogiva,
mentre mio nonno col bastone m'inseguiva:
giungemmo ansanti sulla porta principale
mentre la gente pregava sopra il messale!

Capita la cagion del terremoto
e che la morte sicura avean scansato,
con l'occhio destro ringraziavan Dio,
ma col sinistro godean pel dramma mio.

Quel galantuomo di mio nonno Federico
mi perdonò d'averlo tanto tradito:
ma per un anno non volle più sapere,
di portarmi lassù, manco a vedere!