MONTE OTTAVIO

(PUPIDDU)

 

Lassù, sull’arida collina di calcare,
il caldo venticello di ponente
cullava quel ramarro sonnolente
di un nuovo evento sempre lì in attesa.

Un piccolo rapace volteggiava
con moto sinuoso e sì elegante
che lenta danza parea menare in aria,
le ali dispiegate come aquilone
appeso a un filo che pendea dal cielo.

E gli occhi suoi sgranati, e vispi, e acuti,
la preda rincorrevano tra l’erba,
or secca lupinella
inaridita dal cocente sole,
or verde cappero
che un fiore colorato ingentiliva
quasi a dispetto di natura ostile.

Un nero calabrone svolazzava
vibrando le sue ali rumorose,
e quasi infastidiva i bei trifogli
solo sfiorati dal molesto insetto.

E qua e là, a ingentilir la magica collina,
ora un giaggiolo silvestre o un pungitopo,
ora un finocchio odoroso, o menta e timo,
macchiavano il giallo dei suoi fianchi annosi.

A completare il lieto panorama
un gregge pascolava tra le balze
guidato da un pastore adolescente;
lo zufolo suonava allegramente
protetto da un giallissimo cappello.

Di fronte al monte Ottavio, detto Pupìddu,
un piccolo paese sonnecchiava
sotto il cocente sole del meriggio.