I Lamentatori di Montedoro

                                                                     

                                  

                      


I canti polivocali della settimana santa costituiscono oggi una delle principali espressione del patrimonio musicale tradizionale della Sicilia. Vengono generalmente denominati con il termine lamenti oppure lamintanzi o ancora lodate. Per indicarne l'esecuzione si usa il verbo lamintari. Eseguiti sempre secondo modalità rigidamente formalizzate nel corso delle processioni o durante altre manifestazioni rituali, svolgono funzione di sonorizzazione degli spazi festivi e di scansione delle durate di ciascun atto collettivo. Chiaramente marcati come solenni e disforici, costituiscono un fondamentale commento al racconto mitico rappresentato dal rito.1

Ogni repertorio locale è formato da brani con testo in latino o in siciliano: ciascun brano viene definito una parti. L'esecuzione è sempre opera di gruppi maschili, di norma denominati squadre, costituiti da cantori specializzati detti anche lamentatori. Una squadra, di solito, è espressione di una confraternita laicale.

L'articolazione musicale dei lamenti presenta sempre una marcata dicotomia fra una parte vocale melodica ed una componente corale di accompagnamento. La prima è solista e viene realizzata da un solo cantore o da due-tre alternativamente. Quasi sempre presenta un andamento discendente per lo più per gradi congiunti e si caratterizza per una ricca componente di ornamentazioni melismatiche. La componente corale può essere a una, due o tre parti vocali eseguite da più di un cantore. Interviene in determinati punti dello svolgimento della parte melodica accompagnandola in maniera diversa a seconda dei casi.2 L'insieme dei lamenti ha precisi e documentati rapporti con il falsobordone, tecnica di canto polifonico testimoniata dalle fonti scritte a partire dalla prima metà del XVI secolo.5

Fra i diversi repertori locali indubbiamente quello di Montedoro si segnala per la complessità e la varietà del materiale musicale. Documentato da circa venticinque anni, può essere considerato una delle più alte espressioni della polivocalità tradizionale della Sicilia.

Montedoro

Montedoro è un paese di circa duemila abitanti situato nel cuore della Sicilia, in provincia di Caltanissetta da cui dista circa trenta chilometri. Di origini agricole (fu ufficialmente fondato nel 1635 sul luogo dove sorgevano caseggiati abitati da contadini), ha vissuto un periodo di grande sviluppo a partire dalla seconda metà del XIX secolo, quando nel suo territorio furono aperte alcune miniere per l'estrazione dello zolfo. All'inizio del nostro secolo ebbe inizio una lenta ma inesorabile crisi del settore che portò alla definitiva chiusura delle miniere intorno agli anni sessanta, provocando una grande ondata di emigrazione. Attualmente Montedoro vive di una povera agricoltura (le colture principali sono grano e viti) e di terziario. Molti giovani scelgono di trasferirsi nelle grandi città della costa, mentre numerosi sono gli emigranti che alla fine della attività lavorativa vi ritornano per trascorrervi gli anni della pensione.

Da più di un decennio Montedoro è amministrata da una attiva giunta comunale che ha promosso una serie di iniziative economico-sociali molto importanti e sicuramente insolite in altri paesi con simili caratteristiche.

La settimana santa

Al fine di offrire un quadro sommario del contesto nel quale ha luogo l'esecuzione dei lamenti è necessario descrivere, sia pur brevemente, lo svolgimento delle celebrazioni rituali della settimana santa montedorese. Essa si apre con la domenica delle palme. Nella mattinata si svolge per le vie del paese una processione, secondo le modalità previste dalla liturgia ufficiale. Nel frattempo i lamentateti si riuniscono in chiesa disponendosi a ridosso della porta di ingresso che viene sbarrata. All'arrivo della processione sul sagrato il prete si stacca dal corteo e bussa tre volte alla porta della chiesa. A questo punto i cantori danno inizio alla esecuzione del Gloria che viene ripetuto tre volte. Quindi si aprono le porte e la processione fa il suo ingresso per lo svolgimento della messa. Dalla domenica delle palme al giovedì santo non hanno luogo altri particolari eventi rituali se non le cosiddette nisciute. I lamentatori si riuniscono quasi tutte le sere e si muovono in gruppo eseguendo diverse parti lungo la strata di li santi, il percorso attraverso cui si svolgono tutte le processioni di Montedoro.

Il giovedì santo, dopo lo svolgimento in chiesa delle celebrazioni previste dalla liturgia ha luogo la cerimonia della tavula. Nei locali dell'oratorio parrocchiale viene imbandita una tavola per dodici commensali, con cibi di particolare valore rituale come arance e finocchi. Tale cibo viene distribuito dal prete ai cosiddetti apuostuli, dodici tra ragazzi ed anziani del paese, vestiti in abiti rituali. I lamentatori si dispongono ai lati della tavula ed eseguono alcune parti tra le quali il Giuda e il Punge Lingua. Successivamente in chiesa ha luogo l'adorazione. Il prete legge ad alta voce alcuni passi tratti dai Vangeli che riguardano la Passione. Tra un brano e l'altro i lamentatori, disposti in fondo alla chiesa, lateralmente rispetto all'altare maggiore, eseguono alcune parti. Il venerdì santo è il giorno in cui si svolgono gli eventi rituali più importanti. Nel primo pomeriggio sul sagrato della chiesa vengono preparate le vare : una grossa urna di vetro contenente l'effige di Gesù morto e una statua della Madonna addolorata con il mantello nero. Ad una certa ora i lamentatori intonano il Populu me che segna l'inizio della processione. Due diversi cortei si muovono per le vie del paese in ognuno dei quali viene trasportata una vara. I cantori si dividono in due gruppi [squadre] che si dispongono in testa ai due cortei: di norma la squadra che accompagna il Cristo esegue il Populu me mentre l'altra il Maria passa. I due cortei convergono in un punto dove il prete tiene una breve omelia. Quindi si fondono in un solo corteo con in testa i lamentatori, preceduti, di solito, da uno o più tamburi che scandiscono ritmi di marcia. È pure presente un suonatore di tromba che esegue suoni lunghi con glissando finale oppure brevi successioni di note. La processione si muove in direzione del Calvario, luogo sacrificale della comunità posto al di fuori del paese, costituito da una cappelletta sul tetto della quale è collocata una croce in legno. Qui la statua di Gesù viene crocefissa nel corso di una solenne cerimonia accompagnata dall'esecuzione del Sacri scale. La statua della Madonna viene invece portata all'interno della cappella dove riceve l'omaggio delle donne del paese che recitano rosari e cantano brani tradizionali in dialetto.' Per tutto il resto del pomeriggio i montedoresi si recano in forma privata al Calvario a rendere omaggio alle due statue.

Intorno alle venti i fedeli si ritrovano davanti alla chiesa per dare vita ad una nuova processione. Ancora una volta è l'esecuzione del Populu me che sancisce l'inizio del rito. Un solo corteo si muove in direzione del Calvario trasportando l'urna di vetro vuota. Al passaggio sui balconi delle case vengono accese delle luci mentre molti fedeli portano delle torce accese. I lamentatori, in un'unica formazione, si dispongono in testa al corteo.

All'arrivo al calvario ha luogo la scinnenza. La statua di Gesù viene schiodata dalla croce, cosparsa di profumi e nuovamente deposta dentro l'urna, mentre la statua dell'addolorata viene portata all'esterno.Ha inizio così una nuova azione processionale: le due statue vengono trasportate l'una accanto all'altra per le vie del paese fino al sagrato della chiesa. Tutta la lunga processione è accompagnata dai lamenti eseguiti da una sola squadra. Arrivati davanti la chiesa il prete tiene una breve omelia e quindi i lamentatori intonano ma parte, in genere il Voi che versate lacrime, che segna la fine della processione. La cerimonia dell'incontru , che si svolge la domenica di Pasqua conclude le celebrazioni. Ai lati della piazza si dispongono l'una di fronte all'altra, due nuove statue: quella di Gesù risorto e quella della Madonna dell'incontru. Le due statue hanno davanti allo sguardo un telo rosso in maniera tale che nonostante si fronteggino non possano Vedersi'. Ad un certo punto un bambino che impersona San Giovanni si muove partendo dalla statua di Gesù verso quella della Madonna e viceversa, percorrendo tre volte tale tragitto. Al termine abbassati i teli le due statue vengono condotte a spalla l'una verso l'altra fino al centro della piazza dove vengono avvicinate fino a toccarsi, azione questa che rappresenta u baciu (il bacio). Successivamente una nuova processione si snoda per le vie del paese con le due statue condotte insieme fino alla chiesa dove vengono ritualmente introdotte e disposte ai piedi dell'altare maggiore per lo svolgimento della messa conclusiva. Nel corso delle celebrazione della domenica di Pasqua non vengono eseguiti i lamenti né altre forme di canto se non quelle previste dalla liturgia da eseguirsi dentro la chiesa.

I lamenti

Come si sarà potuto evincere dalla descrizione precedente i lamenti sono una componente di fondamentale importanza delle azioni rituali montedorese. Essi inoltre rappresentano un elemento catalizzatore dell'attenzione della comunità per tutto il periodo festivo.
Complessivamente i lamenti costituiscono un corpus omogeneo che in rapporto al testo verbale viene suddiviso in tredici brani detti parti. Sette sono in latino, le altre in siciliano. Ogni parte è prevista all'interno di uno specifico momento del complesso generale della festa in cui può e deve comparire.
L'esecuzione musicale si costituisce sulla successione di triadi complete in posizione fondamentale, quasi sempre con il raddoppio all'ottava della nota base dell'accordo. La parte solista, detta prima, presenta una notevole componente melismatica soprattutto in fase di cadenza. E sempre eseguita da un solo cantore. Il coro è a tre parti vocali
denominate secunna, terza e bassu, che si collocano sempre al di sotto della melodia svolta dal solista. La secunna e la terza si muovono esclusivamente per gradi congiunti all'interno di ambiti alquanto ristretti, il bassu realizza salti melodici (fra cui quello principale di quinta ascendente) eseguendo le note fondamentali degli accordi. Durante l'esecuzione i cantori si dispongono in cerchio secondo il seguente schema:

                                    prima
                     secunna             bassu
                                    terza

Tutte le partì vocali possono essere raddoppiate ad esclusione della prima. Il numero dei lamentatori non è quindi rigidamente prestabilito: si va da un minimo di quattro fino a otto-nove cantori durante le processioni quando è necessario ottenere una elevata intensità di suono. La prima voce è l'unica a svolgere il testo verbale mentre il coro ribatte in alcuni casi quelle sillabe che nella dinamica dell'esecuzione musicale assumono particolare rilevanza.

La squadra

L'esecuzione dei lamenti richiede particolari competenze che si acquisiscono attraverso precisi iter di apprendistato. Fare parte della squadra di lamentatori è un tratto distintivo alquanto marcato all'interno della comunità. Diversamente da quanto avviene nella maggior parte dei paesi siciliani, gli esecutori non fanno parte di alcuna confraternita laicale essendo la confraternita scomparsa da almeno quaranta anni.

In passato gli esecutori davano vita a più formazioni fisse, spesso in reciproca rivalità. Ciascuna squadra apparteneva ad una delle confraternite presenti in paese oppure si costituiva sulla base di rapporti di amicizia, comparatico eccetera. In tempi recenti è in attività una sola squadra che comunque è formata da un numero tale di componenti da poter dar vita a due formazioni quando le esigenze del rito lo richiedono.

Ogni cantore di norma si specializza nell'esecuzione di una parte vocale, anche se diversi degli attuali componenti della squadra, soprattutto tra i più giovani, sono in grado di realizzare più parti vocali.

La squadra attuale unisce alcuni cantori anziani con diversi giovani. Anima della formazione è la prima voce zi Tano (Gaetano) Genco, nato nel 1918, ex minatore e contadino. Zi Tano ha fatto patte della squadra di zi Caluzzu Tappu (Calogero Mantione 1886-1951) che dalla memoria orale del paese viene considerata la più grande squadra del recente passato. Insieme con Vincenzo Monreale (1905-1979), zi Tano ha attivamente operato negli anni settanta per trasmettere la tradizione al gruppo di ragazzi che oggi si dimostra pienamente in grado di continuarla. Altri componenti della squadra sono zi Caluzzu Genco (fratello di Gaetano}, nato nel 1920, bassu; Angelo Randazzo, nato nel 1930, terza noce, tra l'altro ex-capobanda di un complesso locale; Rosario Randazzo, nato nel 1962, secunna voce che da alcuni anni, data l'età avanzata di Tano Genco, svolge stabilmente funzione di prima voce, in modo assai apprezzato dalla comunità; Calogero Randazzo (figlio di Angelo), nato nel 1964, seconda voce e, all'occorrenza terza; Salvatore Randazzo (fratello di Rosario), nato nel 1953, terza voce e talvolta secunna; Giuseppe Pace, nato nel 1963, bassu che all'occorrenza è in grado di realizzare la prima voce; Giovanni Milazzo, nato nel 1959, bassu. Oltre ai componenti diremo ufficiali' della squadra vi sono altri montedoresi che occasionalmente partecipano all'esecuzione dei lamenti rinforzando all'occorrenza le parti corali. Fra questi: Pietro Mendola, bassu, Mario Lombardo, bassu (oggi emigrato negli USA), Salvatore Randazzo (altro figlio di Angelo), seconda; Vincenzo Mantiene, seconda, Giuseppe Milazzo, bassu, nato nel 1963, Giovanni Licata, bassu, Rosario Dominuco, bassu, Franco Falletta, bassu.

I testi verbali

I testi verbali del repertorio montedorese sono tra di loro alquanto diversi. Le sette parti in latino sono costituite da brani provenienti dalla liturgia ufficiale. Di questi peto vengono cantati solamente i versi iniziali. I singoli versi non coincidono comunque con unità pertinenti della formalizzazione del materiale musicale. Particolare attenzione è posta alla pronuncia di quella che potremo definire la parola-chiave: quella cioè con cui inizia ed atttaverso cui si identifica ciascun brano (Gloria, Vexilla eccetera). Tale parola, infatti, racchiude il senso dell'intero brano e indirizza l'intenzione comunicativa dell'esecuzione la quale prescinde dal significato originale del testo. La pronuncia del testo verbale è per il resto assai imprecisa e difficilmente comprensibile all'ascolto (nelle trascrizioni seguenti riportiamo soltanto le strofe che secondo i cantori vengono cantate).8
Le pani in dialetto sono per lo più costituite da testi assai diffusi negli altri repertori siciliani. In questo caso il significato è perfettamente comprensibie all'ascolto e i singoli versi coincidono con le unità formali minime dell'esecuzione musicale.'


NOTE

1 Antonino Buttitta, Pasqua in Sicilia, Grafindustria, Palermo 1978.

2 Per un quadro completo della articolazione e della diffusione dei lamenti vedi Ignazio Macchiarella, / canti della settimana santa in Sicilia, Archivio delle tradizioni popolari siciliane-Folkstudio 33-34, Palermo 1993, con relativa bibliografia e discografia. Fra le antologie discografiche contenti repertori della settimana santa segnaliamo: La settimana santa in Sicilia, a cura di Elsa Guggino e Ignazìo Macchiarella, disco 33 gg., Albatros, VPA 8490, 1987; Sicilia. Canti della Settimana Santa, a cura di Elsa Guggino e Girolamo Garofalo, ed., Audivis Unesco, D8210,1992; / doli dù Signuri, a cura di Mario Sarica e Giuliana Fugazzotto, c.d., Ethnica 10, TA10-SN0042,1994.

3 Vedi Ignazio Macchiarella, II falsobordone fra tradizione orale e tradizione scritta, LIM, Luca 1995.

4 II repertorio è già stato pubblicato nel disco I lamenti della settimana santa di Montedoro, a cura di Ignazio Macchiarella, Albatros, VPA 8488, 1987. Suoi brani sono inoltre nell'antologie: La settimana santa in Sicilia, cit.; Canti liturgici di tradizione orale, a cura di Piero Arcangeli, Roberto Leydi, Renato Morelli e Pietro Sassu, cofanetto 4 dischi 33 gg., Albatros, Alb 21, 1987; Sicilia. Canti detta Settimana Santa, cit.. Sul repertorio vedi inoltre Ignazio Macchiarella, I lamenti della settimana santa di Montedoro, Amministrazione Comunale di Montedoro 1986 e ID., Analisi di un brano del repertorio della settimana santa di Montedoro: 'Sacri scale, in P Arcangeli (a cura di), Musica e liturgia nella cultura mediterranea, Olschki, Firenze 1988, pp. 95-142.

5 Si veda l'esempio trascritto in Macchiarella, I canti della settimana santa, cit., pag. 87.

Si tratta di una effige in legno in custodia presso due famiglie del paese.

7 In passato le parti eseguite erano almeno sedici.

8 II latino è ovviamente un mezzo linguistico assolutamente lontano dai cantori che ne conoscono l'esistenza solo attraverso la partecipazione alle celebrazioni liturgiche. Sull'argomento e più in generale sull'uso del latino nei repertori religiosi di tradizione orale vedi ROBERTO LEYDI, L'altra musica, Giunti-Ricordi, Firenze-Milano 1991, pp.

9 Zi Tano Genco ha trascritto i testi verbali in un quaderno che è interamente riprodotto in MACCHIARELLA, I canti della settimana santa.

 

 


Polifonie "in viva voce"

VENEZIA
MERCOLEDì 29 OTTOBRE 2003
FONDAZIONE GIORGIO CINI - ISOLA DI SAN GIORGIO

COMUNI DI MILENA E MONTEDORO - COMUNE DI VENEZIA - ASSESSORATO ALLA PUBBLICA ISTRUZIONE - ITINERARI EDUCATIVI - BENI E ATTIVITA' CULTURALI - CULTURA E SPETTACOLO


Ancora polifonie ... a Venezia

Come ho già avuto modo di rilevare recentemente', Venezia è un luogo privilegiato per ragionare e confrontarsi sulle procedure della polifonia. Ma non intendo riferirmi alla Cappella Marciana e alla sua musica, né alla attività delle numerosissime "Scuole" della città, istituzioni generosissime nella richiesta di musiche polifoniche. Richiamo, invece, alcune esperienze dì riflessione che da quasi dieci anni veniamo allestendo con la virtuosa - e ormai consueta - integrazione di energie e risorse che unisce Ca' Foscari e la Fondazione G. Cini. Successivamente, la partecipazione di un'altra istituzione, il Teatro La Fenice - oggi Fondazione - ha esteso a tre i partner di un ménage senz'altro felice.

Già nel gennaio 1995, il Seminario internazionale di etnomusicologia, promosso dall'Istituto Interculturale di studi musicali comparati della Fondazione G. Cini, convocò la sua prima sessione annuale sul tema Classificazione e analisi dei procedimenti polifonici. Le proposte tassonomiche e ipotesi analitiche emerse in quella occasione trovarono ospitalità in un fortunato volume che ha già conosciuto due edizioni, circola ampiamente nella comunità degli studiosi, e può essere inteso, probabilmente, come una fra le sistemazioni più aggiornate sulle problematiche e metodologie concernenti la valutazione dei procedimenti polifonici nelle culture musicali censite. Quindi, alla riflessione scientifica si è affiancato lo spettacolo dal vivo, con la partecipazione determinante - come si è prima ricordato - del Teatro La Fenice, nel programma denominato Polifonie in viva voce, già arrivato al settimo appuntamento (2003): nel corso delle successive edizioni sono state presentate al pubblico del Veneto le manifestazioni più importanti e peculiari delle polifonie di arca mediterranea. Ritengo perciò sia utile ricordarne i contenuti, proposti nella abituale combinazione di un seminario di studi pomeridiano - che, oltre chi scrive, ha ospitato numerosi specialisti d'area - con un concerto serale, realizzato da gruppi musicali rappresentativi; così, quindi, nelle sei edizioni, precedenti a questa:

l. Seminario "Tradizioni musicali albanesi in Basilicata", con Nicola Scalfaderri (Università di Bologna) e Giovalin Shkurtaj (Università di Tirana). Concerto con gruppi vocali femminili di San Costantino Albanese e San Paolo Albanese (23 ottobre 1997).
2. Seminario "Giovanna Marini e la composizione per quartetto vocale: dalla tradizione orale alla scrittura contemporanea", con Giovanna Marini. Concerto con il Quartetto vocale di Giovanna Marini, "Partenze. Per Pierpaolo Pasolini" (28 ottobre 1998).
3. Seminario "Il canto "a tenore della Sardegna: fra tradizione e world-music", con Riccardo Giagni (Università di Lecce) e il quartetto vocale "Tenores di Bitti". Concerto dei Gruppo Remunnu 'e locu "Tenores di Bitti" (27 ottobre 1999).
4. Seminario "Voci di Corsica: liturgia, devozione e poesia cantata", con Jerome Casalonga (Pigna, Corsica). Concerto dei Gruppo vocale "A Cumpagnia" (24 ottobre 2000).
S. Seminario "Voci dell'Albania", con Ramadan Sòkoly (Tirana). Concerto del Gruppo vocale "Ensemble di Tirana" (23 ottobre 2001).
6. Seminario "Il 'canto dì squadra' ligure: la tradizione polifonica del Trallalero", con Mauro Balma (Conservatorio di musica di Genova). Concerto del Gruppo vocale "Squadra di canto popolare 'La Nuova Mignanego"' (29 ottobre 2002).


La riflessione - e l'ascolto - di quest'anno si soffermano, quindi, sulle tradizioni polifoniche siciliane: un'occasione oltremodo interessante. A lungo, ed erroneamente, infatti, si è ritenuto che la Sicilia, e le sue musiche tradizionali, fossero da interidersi come l'alveo in cui fluiva un impetuoso fiume di monodia esuberante, ma apparissero assai poco ospitali e generose verso le procedure e le forme della polifonia . Un'ipotesi subordinata a due distinte, e presunte, "filiazioni": le tradizioni musicali siciliane, da una parte, si riteneva fossero connesse - derivandone - alle antiche matrici musicali elleniche, dall'altra si reputava fossero ibridate o fortemente segnate da una successiva e profonda marcatura araba e berbera per le note vicende relative agli emiri di Palermo e alla successiva fioritura normanna e sveva, ritenuta tollerante e felicemente "interculturale", quasi "ante litteram". Perciò, dal momento che sia le musiche elleniche antiche, che quelle arabo-berbere sembrano essere caratterizzate da una analoga sintassi modale, ma, soprattutto, da una prevalente conformazione monodica, ne derivava facilmente che anche le espressioni musicali siciliane più arcaiche e "autentiche" trascinassero questa duplice, e convergente, marca primitiva. L'ampia fioritura melismatica e micro-tonale delle musiche tradizionali siciliane faceva il resto e confermava l'attribuzione originaria. Ma, come accade quasi sempre, le cose sono assai più complicate: intanto molte comunità dell'isola hanno seguito spesso, storie locali assai singolari, tali da consentire largamente l'emergere di espressioni molto peculiari; inoltre, anche le popolazioni siciliane hanno partecipato, per secoli - almeno dal Medio Evo centrale - a certi processi comuni alla penisola italiana e ad alcune regioni d'Europa; fra questi, l'osservanza cattolica e l'economia agropastorale, con comuni calendari e modalità cerimoniali, nonché simili assetti proprietari e procedure produttive e commerciali, e, ancora, convergenti comportamenti nell'intrattenimento, nel lavoro, nelle relazioni e differenze di genere. Perciò, negli ultimi decenni, la stessa ipotesi sulla presunta preponderanza monodica delle espressioni musicali tradizionali ha cominciato a vacillare, e sono stati messi in luce - e attentamente analizzati - numerosi repertori siciliani d'impianto polifonico, e di grande interesse. I materiali che presentiamo in questa settima edizione di Polifonie in viva voce costituiscono una testimonianza significativa di quanto diciamo. Il corpus più consistente della nostra proposta comprende le Lamentazioni penitenziali della Settimana santa, eseguite in arca nissena, e afferenti a un universo esclusivamente maschile: l'istanza devozionale si manifesta con una polifonia per parti in cui trovano spazio molteplici motivazioni e valenze, quali una certa differenziazione per fasce d'età, capacità di fiato e intensità di emissione (prevalentemente, ma non sempre, pertinenza di cantori più giovani e vigorosi), una polifonia che impegna e "sacralizza" - attraversandolo, e saturandolo di suoni cantati - l'intero spazio dell'insediamento condiviso, segna il calendario liturgico, ma altresì il cielo di certe attività familiari e sociali, e imprime un'impronta profonda anche nelle biografie dei partecipanti (cantori e non), con l'avanzare dell'età individuale attraverso l'iterazione ciclica dei rito.
Le espressioni di area messinese, che l'assenza per motivi di salute di una delle interpreti "storiche" ci costringe ad ascoltare nel solo Seminario attraverso registrazioni, mentre per il concerto si è ampliata la proposta profana dei repertorio maschile, al contrario rappresentano procedure polifoniche di netta afferenza femminile, nell'esecuzione durante certe attività lavoro, nel corso di una peculiare cerimonialità propria della casa, della famiglia e del vicinato: espressioni musicali che appaiono diverse da quelle maschili, non solo per la dislocazione di registro - è ovvio - ma anche per le modalità di emissione, l'intensità della stessa, la migrazione fra i ruoli dell'impianto polifonico (meno frequentata, se non esclusa, nelle espressioni devozionali maschili). Condizioni simili, è vero, sì rilevano non raramente nelle musiche prodotte dalle contadinanze di gran parte dell'Europa: tuttavia, gli studi e le ricerche di Ignazio Macchiarella e Orazio Corsaro - i nostri ospiti quest'anno - hanno ampiamente evidenziato le peculiarità locali - dell'isola, e delle più piccole comunità - e perciò li ascolteremo con grande attenzione, nel corso del seminario pomeridiano'. Ma le tradizioni musicali siciliane conservano anche un'importante polifonia strumentale, affidata a diversi tipi di zampogna e combinazioni strumentali variabili. Nel seminario, e nel concerto, Orazio Corsaro - uno dei massimi esecutori in Europa, per competenza e orginalità - presenterà, con la sua zampogna a paro, alcune forme di danza e di canto accompagnato: musiche di particolare pregio e rara bellezza.
Nel nostro lungo viaggio intorno alle polifonie dei mondo abbiamo incontrato molte espressioni di area mediterranea, e quasi tutte le manifestazioni polifoniche di maggior interesse rilevabili nella penisola italiana. Manca ancora, nel nostro catalogo, una curiosissima prassi di polifonia maschile, con una misteriosa "tirulese", che ci si ostina a voler cantare nella Toscana di oggi, in maniera euforica e vigorosa: è il béi del Monte Armata, e sarà oggetto della nostra attenzione nel prossimo appuntamento, Polifonie "in viva voce" 8.



CANTARE LA PASSIONE

La pratica del canto polifonico, in Sicilia, ha ancora oggi una certa diffusione soprattutto nell'ambito delle azioni rituali della Settimana Santa. Nel complesso si trova una notevole varietà di manifestazioni musicali tutte accomunate da una medesima struttura formale, comunemente definita "canto ad accordo": una voce che intona una melodia solista, accompagnata da un intervento corale che varia dal semplice raddoppio all'unisono della finalis del canto solista ad una successione di accordi in posizione fondamentale (falso bordone), il solista intona il testo verbale, i coristi ribattono quelle sillabe che nella dinamica dell'esecuzione musicale assumono particolare rilevanza.
Realizzate da gruppi dì cantori ben individuati all'interno della struttura rituale (spesso membri di confraternite laicali), quasi sempre maschi (solo in qualche paese dell'agrigentino si segnala la presenza di donne con ruoli da voce solista o da corista), le polifonie della Settimana Santa vengono generalmente denominate con il termine lamenti oppure lamintanzi o ancora ladate (per indicarne l'esecuzione si usa il verbo lamintari e non cantari). Eseguiti sempre secondo modalità rigidamente formalizzate nel corso delle processioni e durante altre manifestazioni rituali, i lamenti sonorizzano e qualificano gli spazi festivi, scandendo le durate di ciascun atto collettivo. Chiaramente marcati come solenni e disforici, costituiscono un fondamentale commento al racconto evangelico rappresentato dal rito.
Ogni repertorio locale di lamenti è formato da brani con testo in latino o in siciliano. Ciascun brano viene definito una parti, mentre il gruppo di esecutori viene chiamato squadra.
Il concerto offre l'opportunità di ascoltare due repertori locali di lamenti, provenienti da altrettanti paesi del centro dell'Isola: Montedoro e Milena (entrambi in provincia di Caltanissetta). Separati solamente da una decina di chilometri e con un analogo tessuto socio-economico (molti pensionati e pochi giovani; tanta disoccupazione e precariato intorno ad una povera agricoltura; moltissimi emigranti che rientrano in paese in estate o in occasione delle principali feste dell'anno come la Settimana Santa; due attive Amministrazioni comunali da diversi anni impegnate nella rivalorizzazione delle specificità culturali e, cori tante difficoltà, in progetti alla ricerca di nuove attività produttive), Montedoro e Milena possiedono pratiche polifoniche differenti - sia pure sulla comune base del "canto ad accordo": una diversità che rappresenta bene la varietà delle espressioni musicali a più voci riscontrabili nell'Isola.
Il repertorio di Montedoro si articola in tredici parti: sette in latino, le altre in siciliano. Ogni parte è, prevista all'interno di uno specifico momento dei complesso rituale della Settimana Santa (che prevede più processioni ed altri eventi rituali la Domenica delle Palme, il Mercoledì, Giovedì e Venerdì Santi) in cui può e deve comparire. L'esecuzione musicale si costituisce sulla successione di triadi complete in posizione fondamentale, con il raddoppio all'ottava della nota base dell'accordo.
La parte solista è detta prima: è sempre eseguita da un solo cantore che si specializza nella sua esecuzione. Il coro è a tre parti vocali denominate secunna, terza e bassu, che si muovono sempre al di sotto della melodia svolta dal solista. Anche i coristi sono altamente specializzati, una specializzazione nota e riconosciuta nel paese: tutti, a Montedoro, sanno chi fa ri prima nel lamentu, chi di secunna e così via (e molti ricordano anche i nomi dei cantori delle squadre dei passato, quanto meno delle prime vuci).
Durante l'esecuzione i cantori si dispongono in cerchio secondo il seguente schema:

prima
secunna - ---------------bassu
terza.

Tutte le parti vocali possono essere raddoppiate ad esclusione della prima. Il numero dei lamentatori non è quindi rigidamente prestabilito: si va da un minimo di quattro fino a otto-nove cantori durante le processioni quando è necessario ottenenere una elevata intensità di suono.
La squadra montedorese oggi non fa parte di alcuna confraternita laicale, essendo questa istituzione scomparsa dal paese da diversi decenni. Essa è costituita sulla base di rapporti di amicizia e familiari (quattro componenti sono parenti fra di loro). Rosario Randazzo, prima vuci, pianista diplomato e insegnante in conservatorio, ha appreso il ruolo di cantore solista da un anziano cantore, zi Tano (Gaetano) Genco, grande prima vuci (da poco scomparso), frequentandolo assiduamente e cantando con lui: le esecuzioni di Rosario vengono molto apprezzate nel paese, in particolare il suo assoluto rispetto dello stile esecutivo tradizionale, del colore e dell'impostazione vocali.

Nella variante di Milena, la struttura dei "canto ad accordo" viene realizzata da due o più cantori solisti che si alternano nella realizzazione della parte melodica principale e da un gruppo di cantori che accompagnano il canto solista con bicordi di quinta e triadi complete in posizione fondamentale. I solisti sono chiamati primu e secunnu (eventualmente terzu nel caso di un ulteriore solista), mentre gli altri sono nell'assieme chiamati accurdatura.
Il repertorio milenese è costituito solamente da testi in siciliano, sempre in endecasillabi, che raccontano, da diverse prospettive, le vicende della Passione e la morte di Gesù, dando solitamente molto risalto anche alla presenza della Madonna e al suo dolore di madre (con immagini ed episodi dei tutto estranei al testo evangelico). Esso è articolato in parti, ciascuna delle quali identificata da una unità conchiusa del testo verbale (dì solito una ottava). Il numero delle parti è indefinito, in ogni esecuzione contestuale si può ritrovare un numero variabile di parti in una successione non sempre ricorrente, diversamente combinati con gli eventi rituali (ed in particolare con le processioni della Domenica delle Palme, del Giovedì e Venerdì Santi).

Anche la squadra di Milena non è espressione di una confraternita laicale (come accadeva nel passato) e sostanzialmente ruota intorno alle figure di alcuni cantori solisti (Gioacchino Cassenti, Onofrio Tona, Vittorio Cannella, Calogero Cannella, Calogero Ferlisi ed altri) in grado di svolgere adeguatamente la parte solista - quella che richiede una specifica competenza - con un nutrito gruppo di accurdatura che possono cambiare a seconda degli anni. Una particolare segnalazione merita la partecipazione dei giovani (compresi diversi ragazzi) alla tradizione: da alcuni anni - su iniziativa delle tre ricercatrici locali Rosalba Pellegrino, Ornella Arnone e Anna Cassenti e con l'attiva collaborazione delle locali autorità scolastiche - i lamenti sono diventati oggetto di un laboratorio musicale extracurriculare presso la scuola media, diretto da Anna Cassenti e con l'attiva (ed entusiastica, bisogna dire) partecipazione di alcuni dei cantori solisti della squadra.
Per apprezzare la varietà dell'esecuzione musicale, le due squadre di Milena e Montedoro proporranno la propria variante di una medesima parti, ("Maria passa di na strata nova") un testo assai diffuso nei rituali della Settimana Santa della Sicilia e di diverse regioni dell'Italia meridionale che descrive l'angosciata 'ricerca' dei figlio da parte della Madonna che tenta di convincere il fabbro ferraio a non costruire i chiodi e la lancia con cui sarà trafitto Gesù sulla croce.
Accanto alla polifonia per la Settimana Santa, a Milena (così come in numerosi altri paesi del centro Sicilia, ma non Montedoro) si conserva la tradizione della polifonia con testo e con ambito esecutivo profani. Musicalmente analoga a quella dei lamenti (alla stesso modo di quanto avviene praticamente in tutti gli altri casi documentati), quella profana viene definita con il termine canzuna a pedi (pedi propriamente indica un distico di endecasillabi, e allo stesso tempo una unità melodica di senso compiuto del canto solista con relativo accompagnamento da parte degli accurdatura). La parte melodica è realizzata sempre da due cantori alternativamente: è da notare che il testo verbale proposto dall'uno non ha alcun collegamento con quello realizzato dall'altro. In pratica una esecuzione viene a configurarsi come una successione di quattro pedi per ciascun cantore solista, e cioé due ottave autonome dal punto di vista dei contenuti del testo verbale.


Ignazio Macchiarella