Il fantasma Papaluni

Il Paese è sempre stato ricco di strani personaggi, soprattutto nel primo dopoguerra. Le loro inspiegabili stranezze sono sempre state sulla bocca dei più anziani, che le hanno raccontate suscitando l'ilarità generale. Scomparsi i nostri nonni, rischia di sparire anche il ricordo di alcuni di essi, che invece meriterebbero di essere ricordati e citati per i posteri.

Si racconta di un certo "Papaluni" che, nelle torride notti estive, aveva il vezzo di andare a prendere una boccata d'aria al cimitero "Maria la Cani", per godersi l'aria fresca che spira da nord, da Sutera e dai Peloritani. Amava sistemarsi comodamente sopra un albero, dopo essersi messo in mutande, ed attendere l'alba prima di fare ritorno in paese; ed accesa l'inseparabile pipa, godere del canto degli uccelli notturni, upupe e gufi, per nulla intimorito dalla presenza di tutti i trapassati a miglior vita. In certo qual modo forse anche loro traevano conforto dalla presenza di un simile personaggio che mostrava un certo attaccamento nei loro riguardi, quando invece i più inorridivano al solo pensiero di potersi trovare nottetempo in quel luogo.

Quella notte Papaluni, messosi in mutande e salito sul solito albero in fondo al viale, al momento di accendere, come da rito consumato, la sua pipa dalla lunga canna, s'accorse di avere dimenticato i fiammiferi. Per un fumatore non esiste cosa peggiore che cominciare ad assaporare una tirata di fumo, e scoprire di non poterlo fare per un futile motivo. Che fare? Andare alla ricerca di un lumino dimenticato acceso alla memoria di un defunto? Rispettoso com'era dei sui vicini, la cosa gli parve alquanto sconveniente, perciò rimase lì in attesa di un qualche evento.

Stava quasi meditando di vestirsi e tornarsene a casa, quando udì in lontananza una voce, un canto di qualcuno che si avvicinava sempre più. Quello era il periodo in cui i contadini, finita la trebbiatura delle fave o delle spighe di grano, riempiti di paglia gli enormi "rotoni" caricati sul dorso dei muli, li trasportavano nelle pagliere come biada per gli animali durante l'inverno. E questo faticoso lavoro, spesso in contrade molto lontane dal paese, avveniva per lo più di notte per evitare la calura delle giornate estive. Quel canto aumentava d'intensità sempre più: sia perché il contadino a dorso del suo mulo s'avvicinava alla porta del cimitero, proveniente dalla vicina contrada della "Mintina", sia perché a quella vista, per farsi coraggio, strillava sempre più forte. Dalla voce Papaluni riconobbe un amico, e quando capì che era quasi giunto davanti la porta del cimitero, con un balzo felino saltò a terra dal suo giaciglio sull'albero, e si presentò in mutande e con la pipa in mano, pronto a chiedere un fiammifero. Alla vista di quel "fantasma" il povero contadino tramutò il suo canto in strillo, lanciò un urlo sovrumano e spronò il suo mulo incitandolo con tutte le forze che gli rimanevano in corpo. A nulla valsero le parole di Papaluni che, avendolo riconosciuto, lo chiamava per nome e l'inseguiva nel tentativo di farlo desistere da quella fuga impetuosa. Con l'effetto opposto perché il contadino, vedendosi inseguito dal fantasma in mutande e per giunta chiamato per nome, spronava sempre più il mulo ed urlava terrorizzato imprecazioni e bestemmie.

Papaluni dovette desistere e tornare al suo giaciglio in attesa dell'alba, chiedendosi con disappunto perché mai quel suo paesano era scappato di gran carriera, rifiutandogli un fiammifero per la sua pipa.