MEDICINA MEDIEVALE   (dal Pitrè)

 

Preparazione del brodo di gallo vecchio            Don Jacopu ora vegnu            I barbieri nel '500
     

 

                      
                 Preparazione del brodo di gallo vecchio

Trattasi di un brodo-gelatina di gallo vecchio, proclamato da un medico sciacchitano contro l'asma; brodo che per la sua peregrina preparazione merita di essere conosciuto.

Bisogna premettere che esso nella sua ineffabile stranezza non era rimedio nuovo. I farmaceutici lo accoglievano sovente nei loro antidotari.
Si preparava, secondo la formula del Meuse, con un gallo dai due ai cinque anni, di colore fulvo, agile, alacre, strenuo, forte, tra gracile ed obeso. Questo gallo si legava per un piede ad una funicella, si batteva con verga o con ferula tanto da farlo arrabbiare. Sfinito di forze, si decapitava, si spennacchiava, si lavava con vino o con acqua, e si sventrava impinzandolo di semplici e mettendolo a bollire.
Così, e non altrimenti, preparato, esso aveva virtù alteranti ed evacuatorie.  Come alterante Dioscoride e Meuse lo avevano proclamato calefaciente ed essiccante efficacissimo; come evacuatorio lo riconosceva tutto il volgo medico.

Nel seicento fu ragione di polemiche ardenti e di giudizi non sempre sereni!

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                         "Don Jacopu ora vegnu"

Il dottore di arti e medicina era chiamato Maestro, e si distingueva da qualunque altra persona civile per un costume tutto suo: l'abito foderato di vaio, specie di zimarra, dentro la quale riconosciamo anche ora nei ritratti che di alcuni di essi ci son giunti, il cappello o il berretto di velluto, i guanti neri ed un grande anello d'oro. Montava, nello andare, un cavallo, e più comunemente una mula con freno e valdrappa: e, come la mula era il veicolo usuale, così la valdrappa era un distintivo.
Vennero gli abusi, per le tante fogge del vestire e del vivere, e le tanti leggi suntuarie passavano sempre inosservate. E molti barbieri e chirurghi puri, cioè non licenziati e non dottorati, se le arrogavano: per cui i Pretori facevano la voce grossa e minacciavano contravvenzioni e pene. Era il tempo delle preminenze e dei privilegi, e ciascuno doveva stare al suo posto, senza sconfinare.
Di mule dottorali parla l'Ingrassia ne cinquecento; ed una mula rese celebre nel seicento quel tale medico Giacomo Riccio in Palermo che passò ai posteri col soprannome di "comodista". Questo medico venne soprannominato "Don Jacopu ora vegnu", perchè ad ogni chiamata di clienti gli rispondeva abitualmente  "ora vegnu", e nel frattempo faceva il suo comodo.
Un altro poeta del medesimo secolo delineava la differenza tra il medico saputo ed il medico incolto dal vestire e dall'orpello dell'uno e dell'altro. E con molto buon umore cantava:

                     Lu medicu valenti undi chi và
                     Ornatu di valdrappa, aneddu e inguanti,
                     Cu bedda mula rigalatu stà;
                     Lu chiama ognunu e paga di cuntanti:
                     Ma cui è 'ngniuranti, nè mai sappi e sà,
                     Tali è riconosciutu in tanti e tanti;
                     "S'ha mula magra, ognunu ci dirrà:
                      A mula magra medicu 'ngniuranti".


"E perchè molti barbieri e chirurghi licenziati in "scriptis in simplicibus" (diceva nel settecento il Pretore di Palermo) hanno  privilegio di medici chirurghi, noi ordiniamo, provvediamo  e comandiamo che nessuno possa andare a cavallo con valdrappa non essendo dottorato".


                            I BARBIERI NEL '500
                                         (chirurgia minore)

Il medico, a dire del volgo, dev'essere vecchio, il chirurgo giovane, il farmacista ricco: 
         medicu vecchiu, varveri picciottu e spiziali riccu. 
Il proverbio parla di barbiere e non di chirurgo, perchè la bassa chirurgia era esercitata in Sicilia dai barbieri. Nè l'uso è cessato (siamo nell'800), giacchè in Sicilia il salasso è sempre operato dal barbiere e non mai dal chirurgo o dal medico. Dice il provebio:
                           Ogni varveri sagna

Quello che avveniva in Palermo ed in Sicilia, per le licenze di esercizi, avveniva ugualmente fuori, e cioè ottenevano licenze e privilegi secondo il costume imperante del tempo.
Nel 1552 il palermitano mastro Paolo Riccio, ad anno, era stato autorizzato "a vendere pietre bianche di terra maltese ac etiam unctiones seu pinguidines serpentium (grasso di serpente), pro doloribus frigidis salubres, et lapides supradictas ad morsium serpentium curandos salutiferos, ed altre unzioni composte di vari semplici utili per dolori freddi".
A tutti è nota la virtù che si attribuiva alla polvere ed alla pietra della grotta di S. Paolo in Malta contro i morsi di serpenti velenosi.
Un cieco di Noto, mastro Antonio, veniva del pari autorizzato alla chirurgia minore, ed a "vendere elettuario, triaca, diatesseron, diacalcemento, altri composti di semplici per dolore di stomaco, olii per dolori freddi, unguenti per scabbia e rimedi di tigna, polvere per denti, vermi bracchieri e sparadrappos".  Questi possedeva la virtù di conoscere l'infermità e l'età degli ammalati al fiuto di certa loro secrezione liquida.
I tempi erano quelli: secondo l'Ingrassia o bisognava lasciare intere terre prive di medici o di autorizzarne degli ignoranti.
Il cattivo è meno del peggio: ed ai barbitonsori ed ai segretisti licenziati doveva consentirsi qualche cosa dove tanti erano i ciurmadori, impellenti i bisogni degli abitanti e diffusa e radicata la superstizione. Sovrani e viceré perciò non negavano ad essi le loro grazie; valga l'esempio della viceregina Bianca di Navarra che concedeva due salme di frumento a mastro Nicolò Surichi, suo barbiere!
A quel tempo il salasso si riteneva indispensabile all'entrare di ogni nuova stagione. Oltre le stagioni v'erano i giorni designati ai salassi, vorrei dire rituali. A Palermo il giorno di S Valentino, a Marsala per la festa di S. Giovanni Battista. V'erano poi i giorni cattivi per i salassi, e ciascun barbiere li sapeva a memoria: 2 e 6 gennaio, 26 febbraio (giorni di luna piena), 8 e 28 marzo, 9 aprile, 3 e 20 maggio, 17 giugno, 13 luglio, 6 agosto, 3 e 21 settembre, 3 e 21 ottobre, 22 novembre, 7 e 22 dicembre. La luna entrava in tutto, e medici e barbieri se ne guardavano come d'un mostro pericoloso. Ai salassi si ricorreva per un semplice mal di capo, per una lieve vertigine, per una presunta irritazione; figuriamoci per supposti mal di fegato o per veri mali di petto!
Capriccio ed abitudine dominavano; ed uomini e donne, giovani e vecchi, nelle botteghe dei barbieri o nelle case proprie ne invocavano ad ogni pie' sospinto, immaginiamo con che soddisfazione dei barbieri i quali, nelle poche grana di compenso a ciascuna di queste abituali, imprescindibili operazioni, trovavano da tirare comodamente la vita.
Trentasette erano le vene salassabili, ma preferivansi le classiche al braccio, alla mano, al piede.
Trattati per i salassatori se n'ebbero parecchi, ed a Messina fu stampato un manuale che avrebbe voluto essere il decalogo della spensierata ed allegra classe dei flebotomi e dei barbieri.
Già presso i latini le botteghe dei barbieri erano fornite di strumenti musicali, e servivano a ritrovo di sfaccendati che la passavano a tagliare e scucire le tuniche addosso a chicchessia ed a chiacchierare dei fatti del giorno. Donde forse il costume dei nostri di sonare qualche strumento a corda, e da tempo la chitarra, e di ingannare le ore libere accompagnando canzoni ed ariette d'amore.
Rader la barba, cavar moli, salassare; ecco le tre facoltà loro concesse, oltre quelle che si arrogavano di aprire fontanelle, conciare le ossa, medicare ferite e piaghe.
Un bando pretorio stabiliva le insegne che i barbieri dovevano ostentare dinanzi il laboratorio: i soliti segni di gelosia, graste e bacile; ma non rara era l'insegna barbieresca d'un uomo ignudo, dalle cui vene aperte zampillava sangue in varie direzioni, le filze di grossi denti e di antichi bacili con un taglio a sghembo per bene adattarsi al collo.
I barbieri avevano l'appellativo di "monsù", come i cuochi.
Un certo Manfredo, palermitano, ebbe la sorte d'essere seppellito nella chiesa di S. Maria della Pinta, famosa nel cinquecento. Una iscrizione fa dire al Manfredo:

            Manfridus tota cecidi qui flente Panormo
            Tonsorum eondam primus in urbe fui;
            Numquam vena meum sensit nec vulnera ferrum;
            hanc sentire manum non potuere genae.
            Ars speculi, pectem, periere novacula, thecae
            Et simul hic meum cuncta sepulta jacent.


           (Io sono Manfredo, che morii compianto da tutta Palermo,
            fui il primo dei tosatori della città:
            giammai vena sentì le ferite del mio ferro,
            giammai guancia questa mia mano.
            L'arte dello specchio, il pettine, il rasoio
            giacciono per sempre qui sepolti con me)

Ricorderò un curioso contratto del Cinquecento tra un locante ed il locatario. L'uno locava una sedia ad un barbiere e l'acqua calda e la lisciva occorrente alle barbe; l'altro, il barbiere, doveva corrispondere al locante il terzo degli introiti delle barbe e dei salassi.
Tra le glorie che i nostri eruditi vantavano per la Sicilia è nientemeno che l'invenzione di fare la barba.
Proprio così!