LE POESIE DI NICOLO' FALCI

 

MISTERO

 

Ero stanco, ma rilassato, come sempre mi accade dopo il viaggio da Milano che, anche senza intoppi, lascia per qualche giorno un segno passeggero sulla resistenza fisica di chiunque.

Anche quella sera, dopo aver cenato, ero uscito a fare una passeggiata che mi aveva subito annoiato perché diventa sempre più difficile entrare in sincronia con i tempi degli altri (anche amici) che, ovviamente, hanno elaborato interessi diversi dai miei che trascorro in paese solo pochi giorni all’anno. Rientrai allora a casa. Mi ripromettevo di terminare quel libro, diventato ormai un compagno noioso per averci passato troppo tempo insieme, e il cui epilogo era scontato.

Ero però troppo distratto a ripensare ai tempi in cui in quella casa ci vivevo. A ripensare a tutte le persone che incontravo uscendo. Lo ‘zi Pietro per esempio: - Nicolò. "Non sempre si riesce a spiegarlo. Sette lettere". Sempre alle prese con il suo cruciverba lo ‘zi Pietro, mentre la sorella Anna sempre presa nella preparazione dei suoi inimitabili dolci. – "Mistero", ‘zi Pì, la parola di sette lettere è "mistero". "Bravo, come ho fatto a non arrivarci. Siediti, che a proposito di mistero ti voglio raccontare una bella storia d’incantesimi". E per l’ennesima volta mi raccontava la Leggenda del Mercato Centenario del Lavatore. E per l’ennesima volta io l’ascoltavo attento e rapito.

Nulla da fare, non riuscivo a prendere sonno. L’unica cosa da fare era alzarsi ed uscire di nuovo in cerca di tranquillità e solitudine mi misi a passeggiare e senza accorgermene mi ritrovai in contrada Sacramento.

Mi ricordai di quando, piccolissimo, deciso ad andare (a piedi) in città per raggiungere mio padre che vi si era recato per lavoro, fui sorpreso da un violento temporale e, per evitare il torrente d’acqua che veniva giù dal paese, mi ero arrampicato su un cumulo di pietre, proprio vicino alla stradella che porta al Lavatore.

Stavo ripensando all’episodio quando vidi qualcosa muoversi proprio in quello stesso luogo. Guardai con attenzione e mi accorsi che qualcuno mi faceva cenno di avvicinarmi. Non ebbi alcun timore (e c’era d’averne, dati il luogo, l’ora e la situazione). Mi avvicinai e mi sembrò di riconoscere il volto familiare di un bambino al quale però non riuscivo a dare un nome. Mi porse la mano e mi cominciò a guidare verso la trazzera che porta al lavatore. Illuminava il nostro cammino una luce diffusa ed una musica gradevole ci accompagnava. Una leggera brezza portava fino a noi i profumi della campagna.

Io ti conosco – disse allora il bambino – e adesso ti condurrò in un luogo dove potrai acquistare tutto ciò che vorrai, anche cose che non troveresti da nessun’altra parte.

Non riuscivo più a connettere. La realtà era fantastica? o le mie fantasie si erano materializzate? Di certo stavo vivendo la situazione come un bagno rigenerante.

Durante il nostro andare incontravamo altre entità. Fantasmi? Forse solo fantasia.

Stavamo raggiungendo la parte più bassa del Lavatore.

Quella parte di campagna è stata sempre considerata dai montedoresi alla stregua di un "eldorado": i frutti più belli e saporiti vi crescono. Anzi è l’unico luogo in cui certi frutti maturano. Gli ortaggi che vi si raccolgono battono in sapore e profumo quelli che crescono nelle altre campagne. Forse la spiegazione di tutto sta in un bene prezioso per la nostra terra asciutta, arsa, assetata, un bene che invece lì è presente in abbondanza: l’acqua. O forse sta in qualcosa non facilmente spiegabile con la ragione: un mistero!

Mi venne in mente anche la volta in cui, con mio padre, ci recammo in quella campagna per raccogliere le more rosse del gelso imbrattandoci dalla testa ai piedi.

Stavo fantasticando quando il mio accompagnatore mi scosse per presentarmi ad un vecchio che, come mi era successo prima in occasione della prima apparizione, mi sembrava avesse dei tratti conosciuti. Mi crucciavo a tentare di ricollegare la sua fisionomia a quella di una persona conosciuta, mentre meccanicamente gli porgevo la mano.

Senza rendermene immediatamente conto mi ritrovai, assieme a loro, immerso in un bazar. Solo che qui i rumori erano suoni; il vociare bisbigli, sussurri; gli odori profumi di essenze le più varie. Niente assordava, nulla abbagliava, nulla nauseava. Tutto era così discreto e soffuso! Ero forse capitato nel Mercato Centenario di cui mi raccontava lo ‘zì Pietro?

Non mi interessava raccogliere quanta più mercanzia potessi. Mi era sufficiente essere presente e vedere quei tesori. Tutto luccicava d’oro brillante. In me però non c’erano sentimenti di rapina, di accaparramento. Mi voltai verso i miei compagni di viaggio. Fui percorso da un brivido nel riconoscerli: l’uno ero io da bambino; l’altro ero sempre io, ma da vecchio. Mi sorrisero avendo capito che li avevo finalmente riconosciuti. Il passato ed il futuro. Il mio passato ed il mio futuro. Una cordata ideale che mi faceva rivivere il passato guidandomi verso il futuro. Un ritorno al passato che mi sarebbe servito per andare avanti. In quel momento le due figure scomparvero.

Il mercato però continuava. Un venditore mi offrì, sorridendomi, un cesto di more rosse di gelso, insistendo perché le accettassi.

Mi resi conto che adesso era ora di tornare a casa.

A quel punto (del sogno?) mi svegliai. Avevo dormito alla grande e avevo sognato (?). Mi incamminai verso la cucina e sul tavolo trovai un cesto di more rosse. Nessuno seppe dirmi chi ve le avesse poste!