LE POESIE DI NICOLO' FALCI

 

Pitture di emozioni attraverso le parole

Comunicare ad altri frammenti del proprio essere è esigenza alquanto atavica per ogni uomo, primigenia forma di sopravvivenza, nella lotta per la vita. Scegliere il mezzo più adatto, quindi, al raggiungimento di tale scopo si rivela talvolta un tentativo complicato, artificioso o, per meglio dire, inadeguato. Riuscire, pertanto, a dipingere nella mente di altri, emozioni e realtà recondite senza l’uso di pennelli, solo attraverso la parola, è certamente il raggiungimento di una delle espressioni più alte dell’animo umano che esula, indubbiamente, dall’essere pittori, musicisti o poeti. I colori dell’anima sono elementi indispensabili nell’esaltazione di un sentimento, di un ricordo, di una storia, che oltremodo si dibattono in ognuno alla ricerca di una via d’uscita.

Ricerca affannosa di un mezzo che permetta la fuga di queste informazioni. Contenuti, notizie, umori che ci albergano dentro, che cercano di librarsi verso vette sconosciute nell’universo delle incomprensioni e delle relazioni telematiche. Il fallimento di tale impresa implica perciò il mancato contatto con altre menti, con atri mondi. Così, lentamente, dentro ognuno di noi si chiude quel varco che conduce l’uomo alla trasmissione della propria storia, delle proprie radici, del proprio essere stato. La parola, in questo caso, invece, è il medium che l’Autore ha trovato più adatto per la trasmissione delle sue pulsioni. E’ il pennello con cui ha scelto di dipingere alcuni suoi ricordi.

Tele raffiguranti fresche immagini d’infanzia, brevi e concentrati flash-back negli occhi di un bimbo grande che ripercorre i meandri del suo passato. Grandi tele intrecciate con la lingua dei padri, legate con catene dorate a vecchi muri di un mondo ormai quasi sommerso. Un’incommensurabile necessità muove il nostro Poeta ad incidere con l’inchiostro fogli bianchi da donare alle generazioni future, proteggendo, in questo rito, un memoriale storico che rischia l’estinzione. Un rituale complesso, partecipato, vissuto rigo per rigo, pagina per pagina, senza mai stancarsi.

Scavare dentro la propria memoria per riesumare oggetti, personaggi, fatti, luoghi, appartenuti ad un passato che ha dipinto la storia di un popolo. Testimone di una cultura, soggiogata dalle dominazioni, ogni cosa riprende ad animarsi e si affanna nel riproporsi viva dinanzi ad un presente teso al consumo e alla prevaricazione. La riproposizione dei valori di un tempo, delle costumanze, delle tradizioni, che hanno connotato la sorte della gente di Sicilia, è il principio che guida questa raccolta.

Il cammino percorso a ritroso invita chi legge a fermarsi e gustare delle varie tappe la freschezza del riposo su pagine di vita paesana animata da piccoli eventi che hanno scolpito sulle nostre vite i caratteri semiotici della nostra esistenza.

Ascoltare i racconti dagli anziani o sentire i pettegolezzi sui vissuti della giornata era un momento magico che definiva in un cerchio l’esigenza di unirsi e mettere in comune le proprie vite in cerca di contatti, in cerca di nuove emozioni.

In quegli attimi avveniva la trasmissione del bagaglio antropologico conservato dai nonni.

La mente si apriva ad inseguire eventi fantastici o leggendari. Il sogno diveniva realtà e l’immaginario si arricchiva di fatti, di gesta eroiche, di storie tristi, di memoriali di guerra o di proverbi e vecchi detti, segni della saggezza dei vecchi narratori. Allo stesso modo si viveva la strada in cerca di stimoli e motivazioni che potessero dare un senso alla miseria del tempo.

In povertà si riscopriva il valore delle cose semplici, come quella di un pezzo di terreno asciutto pieno di polvere e di buche dove i ragazzi andavano a giocare a palla, probabilmente utilizzando la vescica di un bue portato al macello. E ancora la gioia nel ricercare in una festa di paese risposte a misteri, tra paura e curiosità: "E ssi quarchi fisci sinni partiva facìannu cadiri n’testa lu cìalu? ". Il dubbio di un bimbo, non soddisfatto dagli adulti, rinforza nello stesso fobie da portare in sogno, sentimenti di ingenua voglia di appagamento allo spuntar di fuochi nel cielo di una notte in festa.

La mancanza di divertimenti è testimoniata dallo splendido ricordo di una giornata al mare, la cui descrizione sottolinea la volontà del cambiamento verso una realtà ambientale diversa, quella del litorale, della spiaggia, che porta la bianca carne dei contadini a confrontarsi per provare nuove emozioni. Il sentire dentro la diversità come un handicap fino a fingere di saper nuotare pur di superare quel senso di inferiorità che la diversa estrazione sociale denuncia.

L’incontro con il destino e con la fortuna sulla strada, ancora maestra di vita, attraverso l’ambulante che annuncia "la pianeta". Tra le gradevoli note di un carillon, un pappagallo, su un carretto, estraeva un bigliettino che avrebbe svelato il futuro del predestinato ed ecco che all’istante si accendeva la fantasia. Nessuno era sfortunato, il responso era sempre di buon auspicio e tutto questo riempiva il cuore di speranza.

Le usanze, le abitudini, rituali incondizionati dagli umori della giornata. Ogni sera dopo il lavoro molti usavano recarsi all’osteria, altro momento di aggregazione, dove ognuno a suo modo si premiava per la fatica della giornata. Anche in questa tela la descrizione è dinamica, ricca di particolari, ognuno di un colore diverso. Il grigio, colora la sofferenza del minatore che solo al sabato, dopo una settimana di buio dentro il ventre della terra e dominato dalla prepotenza dei padroni, può recarsi all’osteria per comandare anch’egli, per una volta, almeno un bicchiere di vino. Solo in quel momento egli può affrancarsi dalla sua condizione, comandando ad altri il soddisfacimento di un suo bisogno. Ecco, in quell’attimo, improvvisamente, la tela riceve una pennellata di rosso. Così, tra parole e colori, l’autore narra i suoi ricordi.

Tant’altro ancora si racconta in questo susseguirsi di sensazioni che si rivelano con coerenza storica in una specie di simbiosi linguistico cromatica, quasi ad annullare i limiti frapposti tra pittura e letteratura. Ogni movimento di pensiero assume un colore ed è così che gradatamente il foglio diventa tela e si dipinge trasformandosi in immagine.

Aspetti diversi di una stessa realtà fanno sì che l’immagine sia completata in ogni sua parte. Il percorso intrapreso dall’autore assume, quindi, una connotazione didattica che procrastina, certamente, la possibile scomparsa di questo patrimonio culturale da molti già sconosciuto. Infatti, esso presenta sfaccettature varie e complesse per la loro valenza etnostorica e semantica.

I suoni, i segni, i gesti, emergono senza sforzi letterari dal contesto narrativo e sublimano, senza pretese, la tradizionale e alquanto motivata condizione di "eroi tragici del dovere" e "del focolare domestico", come ebbe giustamente a dire il Russo.

Tra i diversi toni cromatici emergenti nel verbalizzare la vita dei lavoratori del centro della Sicilia e dei loro figli, assurge anche la componente religiosa che, in modo sommesso, rivela la grande inquietudine spirituale che muove i siciliani alla ricerca di una mediazione fra tradizione e fede religiosa. Il culto verso i Santi spesso, da noi, si mischia in maniera recondita e quasi occulta con la consuetudine di onorarne l’immagine attraverso forme pagane di venerazione. Questo, naturalmente non influenza minimamente le coscienze religiose che continuano a professare la loro fede senza rendersene conto. Il fervore che accompagna i momenti della festa, spesso culminano in vere e proprie espressioni di religiosità semplice che tuttora caratterizzano la nostra gente.

Ciò è descritto con leggere e spumeggianti linee di colore che ondeggiano nel dipinto quasi a sottolineare forme di inquietudine diverse sfocianti in esilaranti momenti di gioia e di entusiasmo. La capacità, pertanto, di non lasciare che alcuna emozione sfugga alla revisione del proprio animo, permette all’autore di consegnare una parte della nostra storia agli uomini di domani.

Lu tancinu, la brascera, la biddrina, l’Oriuni sono splendide immagini di un’infanzia condivisa, di un tempo triste legato alla miseria e alla lotta per la sopravvivenza. Questi ultimi, come altri, sono contenuti che inneggiano ad un linguaggio semplice, schietto, originario, permeato di elementi che integrano il vernacolo con un contemporaneo poetare in rima che si diffonde come eco ed evoca riconosciuti e familiari luoghi dell’animo collettivo. Pertanto, il bisogno di tramandare ad altri quel patrimonio culturale, su cui si fonda la nostra esistenza, nasce essenzialmente dalla paura di perdere quell’identità sociale che contrassegna il nostro entroterra siciliano.

Rare sembianze di un lontano passato, infatti, riemergono come fantasmi a ricordare la fatica, il senso del dovere, l’amore verso la famiglia, il rispetto per i propri vicini. Segni inconfondibili di una educazione forte legata al lavoro dei campi e delle miniere, valori che affondano le loro radici nel grembo della madre terra, fonte di lavoro e di esistenze. Così, quasi per gioco, si intrecciano le trame di queste tele. Tra sorrisi, urla e schiamazzi di ragazzi che si divertono a giocare, su strade polverose, "la tuartula" e "la strummula" diventano, ancora, protagoniste di un momento di allegria e di appagamento. In quel momento, quando tutto sembra scorrere nella caoticità di tutti i giorni, il nostro Poeta si ferma e gioca anch’egli come quando era bambino e tuffandosi in quella polvere rivive attimi ludici ormai negati alla coscienza di uomo adulto. Allo stesso modo si ripristina la consapevolezza del dolore del tempo andato, dei visi cari scomparsi e del non potere, se non giocando, riabbracciare tutto lasciandosi trascinare in un oblio di carezzevoli sensazioni ricche dei colori dell’anima.
                                                                                                              Giusi Leone