LINA CAICO (1883 - 1951)

Nei primi anni del Novecento, l'assolato borgo siciliano di Montedoro fu una fucina di cultura e di passione umanistica senza pari, purtroppo tra l'indifferenza e l'ignoranza generale. Intanto che Louise Hamilton Caico si apprestava a redigere la bellissima opera "Sicilian ways and days" tradotta soltanto nel 1983 in "Vicende e costumi siciliani", la figlia Lina, nata a Bordighera nel 1883 ed educata in Inghilterra fino all'età di quindici anni, andava maturando l'idea di dare vita ad un'opera che avrebbe lasciato il segno. Si trovò in una posizione particolarmente favorevole, avendo trascorso gli anni della giovinezza tra gli interessi tipicamente culturali materni della ricca borghesia inglese, amanti dei paesaggi e della cultura siciliana e quelli squisitamente economici del padre, proprietario terriero e di alcune miniere di zolfo che, nonostante in quegli anni versassero in condizioni poco floride, permettevano un certo tenore di vita, rispetto al resto della popolazione. Madre e figlia sin trovarono in sintonia se le frequentazioni letterarie e le idee femministe e progressiste della prima trovarono humus favorevole in Lina, pronta a sfruttarle ed a farle viaggiare per tutta la penisola, con la collaborazione della sorella Letizia.

In quegli anni la Sicilia stava vivendo una stagione particolarmente florida poiché l'incontro tra la mentalità industriale degli inglesi, che avevano scoperto l'Isola e vi si trasferivano con sempre maggiore frequenza, e le raffinate tradizioni della nobiltà isolana, stavano dando vita ad una vivace attività culturale, culminata con la consacrazione di Palermo a capitale del Liberty europeo.

A Montedoro Lina, sfruttando le esperienze maturate tra Nizza, Bordighera e gli anni passati nei college inglesi, vuole scoprire le sue vere radici e conoscere le tradizioni popolari, in sintonia con l'inizio degli studi etnologici avviati in quegli anni a Palermo con i lavori di Pitré e di De Giovanni. E dà avvio all'impresa che chiamerà "LUCCIOLA", rifacendosi alle tante riviste femminili che circolavano in Francia, in Germania ed in Inghilterra, come "Firefly", "Parva Favilla", "Mouche volante", "Rivista per signorine", "Prima lux". Esperienze queste ben delimitate e locali che invece Lina trasferisce a livello nazionale, sfruttando le sue conoscenze ed amicizie sparse in tutto il territorio.

E di grande aiuto dev'essere stata la frequentazione della madre Louise con quel De Gubernatis, fondatore della rivista "Cordelia" molto seguita dal pubblico femminile verso la fine dll'800, poiché alla sua direttrice, Maria Majocchi Plattis (Jolanda) chiede pareri e consigli. Segno che aveva trasmesso alla figlia oltre che esperienze intellettuali anche ottime conoscenze con personaggi influenti per la cultura europea dell'epoca.

Il primo numero della rivista scritta a mano prende avvio nel marzo del 1908, dal cortile dei Caico, tra il nitrire dei cavalli e l'abbaiare del cane "Leone", dove una foto ritrae Lina alle prese della prima copertina.

La rivista, partendo dallo sperduto Montedoro, raggiungeva le corrispondenti, tutte e solamente donne (erano ammessi solo pochi uomini, cugini o fratelli), nei vari luoghi d'Italia, affidando la corrispondenza ai mezzi di trasporto dell'epoca, treni regi e carrozze. Che a giudicare dal risultato funzionavano abbastanza bene se, nel volgere di due o tre mesi, raggiungeva oltre 40 località, da Montedoro a Catania, a Napoli, a L'Aquila, a Firenze, Modena, Venezia, Verona, Milano, Bergamo, Como, Pavia, Biella, Saluzzo, etc. Così nasce la rivista che viene chiamata "Lucciola", piccola lanterna vagante che, unica nel suo genere e senza riferimenti, né prima né poi, vagherà per tutta Italia, dalla Sicilia alle Alpi, dal 1908 al 1926, anno della definitiva chiusura.

Il fascicolo dalla copertina intarsiata e lavorata a mano veniva "inizializzato" dalla direttrice del momento, quindi raggiungeva le corrispondenti che, nel volgere di due giorni al massimo (pena una multa!), annotavano le loro osservazioni, esprimevano i propri pensieri di donna, parlavano di politica, di vita in genere, ponevano domande (che trovavano risposta nei numeri successivi, visto che nel frattempo erano in viaggio altri fascicoli), inserivano foto e racconti, e lo spedivano al destinatario più vicino che faceva altrettanto. Finché non tornava nuovamente al luogo di partenza. Così per ben 18 anni, questa rivista "in unico esemplare per numero e scritta a mano", vagò carico di sentimenti, di preoccupazioni, di ansie, per le strade italiane, sfidando persino gli anni della guerra, per giungere miracolosamente a noi per puro caso, per merito di Gina Frigerio di Milano, l'ultima direttrice a conservare diligentemente tutta la raccolta. Le corrispondenti, che si alternavano nella direzione della rivista, si firmavano con uno pseudonimo, com'era uso del tempo.

L'intento iniziale era che la rivista si occupasse solo di vicende private; ma fu inevitabile che le argomentazioni si spostassero verso la politica, la letteratura, e verso i fatti contingenti dell'epoca, molto agitata dalla guerra del '15-'18 e dalle conquiste coloniali. Il fascicolo era impaginato dalla direttrice, con dipinti, disegni, foto, copertine e frontespizi, propri o delle corrispondenti. Il contenuto della prima parte era essenzialmente letterario, con racconti, poesie, diari, descrizione di gite e conferenze. Nelle pagine finali era aperta la discussione, in cui le socie potevano esprimere i loro pensieri, porre domande, fare critiche. Le risposte delle socie arrivavano dopo qualche mese, al secondo giro di boa. Oggi, nell'era del computer e di internet, questo reperto quasi archeologico, ci appare come un'eredità prodigiosa. I fili delle esistenze di queste lucciole si annodano tra loro, e si vede la vita scorrere pagina dopo pagina.

La crescita personale s'intreccia con gli avvenimenti collettivi in un gioco di interferenze. Così le dolorose attualità della grande guerra traspaiono nella rivista, con le sofferenze delle famiglie, il dolore per i morti. Nel 1911 l'Italia parte per la conquista della Libia, e fra le lucciole serpeggiano fermenti di entusiasmo colonialista. Così Giulia cita ruggenti versi di D'Annunzio, mentre Lanternino scrive un lungo reportage sulla visita alle tombe dei caduti di Sciara-sciat. Negli anni successivi cresce il fermento intorno alle terre irredente di Trento e Trieste, e Pia, che è triestina, si esprime con toni entusiasti perché fautrice dell'unione all'Italia di quelle terre.

A distanza di ben 80 anni, leggendo ed analizzando il contenuto della rivista, le sorelle Lina e Letizia Caico risultano le più colte, intraprendenti ed evolute del gruppo. L'educazione in Inghilterra e la religione protestante (poi si convertiranno al cattolicesimo) le rendono più libere nei giudizi, e capaci di guardare con occhio critico alle tante convenzioni che le circondano in Italia.

Lina ricorda una pagina di un giovanissimo caduto, Manfredi Lanza di Trabia. La guerra è un'apocalisse che annuncia la palingenesi, ma anche una malattia che, se non mortale, si risolve con la rinnovata salute del corpo. In queste opinioni c'è il senso fatalistico e religioso di chi cerca una visione provvidenziale anche nelle catastrofi, ma in questo esprime la forza e l'energia della volontà di vivere.

Quando appare alla ribalta il partito fascista, "vfs" di Milano, nel 1922, aderisce al clima di attivismo che i fasci sembrano annunziare. Ma non Lina, che così risponde ad una corrispondente che si dimostra entusiasta verso il nascente fascismo: "… Io socialista non sono. Ma ancor meno sono fascista, o Rosa Sfogliata! Credi tu davvero che il fascismo come idea e come persone sia tale da produrre una novella Italia? ….".

Lina era pervasa da una serietà profonda ed un grande senso religioso della vita, un'alta idea della dignità femminile, senza scadere nel bigottismo. E sappiano che la sorte mise a dura prova il coraggio che si rispecchia nelle sue parole. L'amicizia creatasi attraverso la fitta corrispondenza si protrarrà oltre la chiusura della rivista, che avviene nel 1926, dopo ben 18 anni di pellegrinaggio attraverso l'Italia. Lina nel 1942 (morirà nel 1951), inferma ed in ristrettezze economiche, viene accudita dalla "lucciola" Licia (Maura Mangione di Palermo), nella casa di Montedoro. E v.f.s (Laura Frigerio), mossa da senso religioso, le manda una carrozzina per invalidi (tanti in paese ricordano ancora Lina su questa carrozzella). Finito il sodalizio, Nunziatina, commossa, scrive nel suo congedo: "Le varie grafie erano come altrettante voci".

Lina fu un'operatrice instancabile; per Lucciola raccoglie testi, canti e serenate siciliane, è insegnante di inglese presso la scuola statale Turrisi di Palermo, e soprattutto scrive. Traduce libri dall'inglese e pubblica articoli su problemi morali e religiosi, su "Lumen", "Primavera siciliana", "Fede e vita" e sul "Giornale di Sicilia". Fu una creatura dolcissima e forte la cui esigenza di verità era animata da una grande energia spirituale. Dopo che la direzione della rivista passa ad altre socie, Lina resta la più amata tra le Lucciole. E resta amata anche a Montedoro: quando nel luglio del '43 il paese è sotto il tiro dei cannoni americani che cercano di snidare i tedeschi, Lina, l'unica a conoscere l'inglese, scrive una lettera ai comandanti alleati attestati a Canicattì, chiedendo di non sparare poiché il paese è indifeso ed i tedeschi sono scappati verso Palermo. Il paese è salvo!

Scoprire la storia di Lucciola, creata ed animata da Lina Caico, di cui fino a poco tempo fa nessuno aveva parlato e raccontato, riempie di emozioni; sia per la vicenda in sé, nata per scopi letterari e culturali, sia per le storie umane che inevitabilmente si sono intrecciate tra le varie corrispondenti di tutta Italia, mostrandone uno spaccato esemplare. Infine perché, se in tanti in paese non hanno fatto in tempo a conoscere Lina, una pia donna colma di sentimenti umani e cristiani, hanno conosciuto la sorella Letizia, che negli anni sessanta, appariva strana ed eclettica, per via del suo violino e dell'ombrellino colorato, del quale mai si separava quando andava in giro nelle ore di massima calura. Ma che invece, insieme alla sorella, era stata una degna ambasciatrice nel mondo della cultura del profondo sud.