Il venditore di latte
  (da "La dolce alba di Raffi")

Una scena inusuale, data l'ora, si stava svolgendo davanti l'uscio di comare Concetta. Inusuale soltanto per l'ora e non per il contenuto che, in verità, come una rappresentazione teatrale, avveniva regolarmente tutte le mattine. Attori principali erano il capraio "lu Dispratu", sordomuto dalla nascita, e le sue clienti alle quali forniva il latte delle sue capre. Il nomignolo la diceva lunga, avendo generato ben ventiquattro figli, alcuni morti, altri sordi e muti. Lu Dispratu, sicuramente più furbo che muto e sordo, faceva il giro del paese con alcune caprette, ed accovacciato sul selciato davanti l'uscio di casa, piegato su una gamba, mungeva il loro latte direttamente dentro le scodelle che le acquirenti gli fornivano al momento, valutandone ad occhio la quantità. Scodelle dalle fogge più strane, come picchiu, tegame o pentola, ma dalla capienza ben conosciuta dai proprietari che pretendevano di ricevere la quantità di latte pagato. Lu Dispratu, afferrate le tette della sua bestia, cominciava a mungere con forza il latte dentro la scodella facendo montare una schiuma così alta da sopravanzare la tacca ideale della quantità di latte richiesta e pagata, ma in buona sostanza sicuramente inferiore a quella pattuita. A questo punto iniziavano le lamentele di comare Concetta, spalleggiata dalla vicina di casa che da lì a poco sarebbe stata la prossima acquirente. Tra gesti incomprensibili e mugugni, il capraio voleva fare capire che la quantità era quella giusta e che la schiuma era un di più oltre la misura pattuita. Iniziava quindi una piccola lite, a suon di rimbrotti e taglienti battute, sedata soltanto, dopo batti e ribatti, da un paio di ulteriori spruzzi di latte sulla schiuma che stava velocemente scemando e che presto avrebbe messo in evidenza che il latte munto si trovava sotto la tacca della giusta misura. La piccola aggiunta lasciava soddisfatta la comare e visibilmente amareggiato il capraio: in cuor suo, però, contento d'essere riuscito, con quell'ultima spruzzata, a gabbare ugualmente l'acquirente.

Questa era la norma, ma spesso accadeva l'imprevisto ad infiammare gli animi, come in quello strano pomeriggio. Durante la mungitura del latte, la capretta stressata ed eccitata dall'armeggiare delle mani poco delicate del capraio sulle sue tette gonfie a dismisura, lasciava cadere nella scodella i suoi escrementi, un grappolo di palline nere, che si depositavano velocemente sul fondo. Il capraio lo sapeva benissimo che poteva succedere e quindi stava in allerta, pronto a spostare la scodella per l'evenienza. Quella volta però, distratto da un venditore ambulante, gli era andata male, e comare Concetta, alla quale non sfuggiva una virgola di tutta quella complicata operazione, giustamente pretendeva che quel latte, condito con le palline nere della capra, andasse buttato per strada ed iniziasse una nuova mungitura dopo avere ripulito la scodella.

"I ceci li cucino con l'acqua e quando voglio io!", urlava in faccia al capraio che, per tutta risposta, con abile gesto della mano, aveva fatto sparire dalla scodella quelle palline nere e pretendeva così d'avere sistemato ogni cosa. La comare rifiutava quel latte, mentre il capraio gesticolava per dire: "E chi minna, cummari Cuncè! Tutti ssì storii pi quattru cicirìaddi nìuri!". Quindi, per tutta risposta, s'era alzato dalla scomoda posizione ed afferrata per le corna la sua capra, faceva cenno d'andarsene bofonchiando qualcosa d'incomprensibile quando, comare Concetta, rossa di rabbia, afferrata la scodella piena di latte la vuotò, con quanta forza aveva in corpo, addosso al capraio che si ritrovò assuppàtu di latte dalla testa ai piedi, mentre una di quelle palline nere gli restava appiccicata alla barba non rasata da qualche giorno.

"Mangiatele le tue palline nere!", urlò comare Concetta, mentre la vicina di casa sbottò a ridere per il neo comparso in faccia al capraio, e che lo faceva assomigliare ad un buffo personaggio da fumetto. Avesse questi avuto il dono della parola, tutto il quartiere avrebbe sentito il suo urlo che si tramutò invece in un grugnito bestiale, necessariamente sincopato; rosso di rabbia per l'affronto, afferrò comare Concetta per le spalle e la sollevò per aria tre volte prima di lasciarla cadere a terra. Quindi, soddisfatto per la lezione impartita, fece un eloquente gesto, incrociando gli indici delle mani a forma di croce, per significare che la comare non avrebbe più avuto il suo latte. Afferrata la sua capretta per le corna, sparì nel vicolo adiacente, piantando in asso la vicina di casa che, con la scodella in mano, aspettava il suo turno.