A  MILANO


Sarai pur bella e grande, o mia Milano!
Ma il fascino che un dì facea di te una perla
e grande invidia dell'Italia intera,
lentamente ormai degrada e scema,
e solo la Madonna brilla in alto
sicuro che anche Lei ha il broncio a sera.

Delle tue strade acciottolate
solo un remoto vicolo isolato.

Ora che moda proclama i tacchi a spillo
e l'auto traballa sul selciato,
non sai gustare appieno il tempo andato:

quando il cavallo,
ritmando il suo ondulato passo
altero incedeva tra le tortuose vie
e un’eco diffondeva nel quartiere;

quando un agile carro,
che imprimeva un solco a lato,
portava un uomo in frac verso il Teatro.

Che strazio i tuoi navigli, adesso:
palpitanti un dì, di grandi artisti il vanto
e di strenua difesa ultima speme!

Coperti da un asfalto orrendo e nero
sopportano il peso di motori erranti.

Che splendidi i canali della Cerchia,
solcati da operose barchette,
ora dirette alle sostre
a scaricar legnami e marmi,
ora mute, ferme all'approdo,
ora gioiose di goliardi in festa.

Ecco il ponte delle Sirenette
le timide sorelle Ghisini,
ecco il ponte di Porta Romana,
o delle Gabelle, o dei Medici,
o dell'Ospedale.

Ecco il Tombòn di San Marco,
più che naviglio maestoso lago.

Ecco le chiuse coi suoi "conchèe"
a custodire il livello,
e le osterie pronte ad offrire
pane, vino e salame ai barcaioli.

Ecco il nitrito di cavalli sudati
trainanti un barcone di sabbia.

E le storiche porte ormai distrutte
ed i Santi di pietra a guardia assisi?
Nepomuceno, il re della Romana,
che il ponte principale vigilava,
un dì già protettor del barcaiolo
che un cenno di saluto a lui volgeva,
or giace in un cantuccio,
abbandonato e solo.

Adusa a rimpinzare i tuoi forzieri,
degli avi ignori
orgoglio e amore e forza
che il nemico menò oltre le mura,
e giaci beata tra sollazzi e gioie.