LE MINIERE DI MONTEDORO


                              

Per oltre un secolo, a partire dal primo decennio del 1800, Montedoro visse una frenetica corsa all'oro giallo, allo zolfo cioè, su cui giaceva tranquilla e beata dalla sua fondazione, ignara dell'immensa ricchezza che si nascondeva nel sottosuolo. Dopo quella casuale scoperta gli abitanti "contadini" cominciarono a sognare di diventare "piccoli industriali", vista la facilità con cui quel prezioso minerale veniva alla luce. La corsa allo zolfo anticipò, per certi versi, la famosa corsa all'oro californiano, che avvenne nel 1848, in seguito alla scoperta di importanti filoni auriferi. Tante furono le applicazioni di questo minerale, ma soprattutto, ridotto in polvere, servì per debellare il terribile oidio che infestava le viti di tutta l'Europa. Dopo questa scoperta vi fu grande richiesta ed il valore commerciale dello zolfo salì alle stelle.  Per oltre un secolo, infatti, la Sicilia divenne il primo produttore ed esportatore di zolfo al mondo, fino all'avvento dello zolfo americano, intorno al 1920, col conseguente crollo dei prezzi e la crisi irreversibile che ne seguì.

In paese, come in tutto il "Vallone", arrivarono imprenditori, finanziatori ed anche faccendieri senza scrupoli, da ogni parte d'Italia e non solo. Fu un periodo di benessere per tutti o quasi, perché chi possedeva una piccola striscia di terra si armava di pala e piccone e cominciava a scavare nella speranza di trovare il filone giusto. Tanti dovettero disilludersi subito, sprecando tempo e denaro, ma tanti altri ebbero miglior fortuna.


                                     LE MINIERE ASSEDIANO IL PAESE

Per meglio capire il fenomeno e rendersi conto dov'erano i buchi effettuati intorno al paese, bisogna osservare bene la cartina preparata dall'Ufficio Minerario di Caltanissetta nel 1904.
                                                                       
    carta del Regio Ufficio Minerario              carta sovrapposta all'attuale abitato                  Gallerie nel Monte Ottavio

A beneficiarne maggiormente furono i grossi proprietari terrieri che poterono fare prospezioni ed aprire gallerie con ottimi risultati. In modo particolare i Caico (Franco prima e Cesare dopo), che già godevano di un certo benessere e che potevano investire discreti capitali negli scavi. Ma indirettamente tutta la popolazione che improvvisamente aveva trovato un lavoro molto redditizio, vista la richiesta di abbondante manodopera. Ma alla fine della bella avventura "nessuno si arricchì", come fa notare il Petix nelle sue memorie, sia perché le proprietà erano tante e piccole, sia perché gli strati zolfiferi non avevano una grande consistenza.


                                                 TIMORI DI CROLLI
  DENUNZIE   e  PROTESTE  DELLA  POPOLAZIONE

Nel corso di un decennio Montedoro si trovò circondata da un'infinità di piccole miniere, di gallerie che passavano il paese da una parte all'altra, di calcheroni che bruciando all'aperto il materiale infestavano di odori e fumi nauseabondi l'abitato, prima che venissero emanate disposizioni che stabilivano di mantenere certe distanze dalle case di civile abitazione. Poco mancava, insomma, che ognuno cominciasse a scavare pozzi e gallerie sotto la propria casa! In tanti veramente si trovarono la galleria sotto casa, e notte e giorno sentivano picconare sotto i pavimenti; vivendo col terrore di vedere crollare i propri muri. Tante furono le proteste e le denunce, come quella della mia bisnonna Maria Montagna, che abitava in Via Garibaldi, alle spalle della Chiesa Madre. La denunzia datata 1904 è stata rintracciata negli archivi.
                                                                        
                  lettera di denunzia di Maria Montagna         lettera trascritta                      cartina ed ispezioni fatti dopo la denunzia

                                          
Incidente ad un figlio di Benedetto Ingrao.                           Giacomo Fiocchi (contro Federico Caico)       Un gruppo di cittadini contro l'esercente
Arrestato il capo Maestro Marino Bono                                           teme la caduta della Chiesa                         Giardina (miniera Orto del Signore)

      
 Lettera aperta dell'Ing. Lodovico Messana (traferitosi a Canicattì)              Petizione popolare contro il degrado ed il crollo di case nella parte 
 al Commissario di Montedoro che ha approvato il restauro della                 meridionale del paese (Chiesa Madre) a causa delle lavorazioni delle
 Chiesa senza tenere conto dei veri motivi delle lesioni (e cioè i vuoti          miniere
sottostanti, a causa dell'estrazione dei minerali, mai riempiti)

                Crolla l'Oratorio dei Confrati         
Denunzia del Governatore Infantino           ore 14,30 del 21 giugno 1921                               Protesta dell'Arciprete  Vito Alfano 

LA  FUSIONE TRAMITE  CALCARONI, FORNI GILL e FORNO ROMA

Sin dai tempi più antichi, per separare lo zolfo dalla ganga, si ricorreva alla fusione.
Il primo mezzo usato fu la calcarella di cui restano pochissimi resti nel territorio di Comitini.

La Calcarella 
Consisteva in un fosso costruito a piano inclinato in modo da permettere la colata dello zolfo fuso verso un'apertura detta "morti dell'olio". Il riempimento, a forma conica sopra il fosso, poteva contenere quattro o cinque metri cubi di minerale non coperto di terriccio, cosicché la fusione era rapida e in meno di ventiquattro ore si completava la raccolta dello zolfo, anche se circa i due terzi si volatilizzavano sotto forma di anidride solforosa.
Per ovviare al gran dispendio di minerale si pensò di ricorrere al rivestimento esterno della massa in fusione: nacque così "il calcarone".

Calcaroni -(vedi foto) 
Questi forni consistevano in una costruzione pressoché cilindrica, con pavimento a piano inclinato (10-15 gradi) di 10-20 metri circondato da un muro alto circa cinque metri, capace di contenere duemila metri cubi di minerale. Alla base del forno veniva lasciata una apertura detta "morte". La struttura cilindrica veniva riempita di minerale di zolfo sistemato in modo da lasciare liberi dei canaloni verticali di ventilazione e veniva colmata a forma di cupola e ricoperta da una "camicia" di "ginisi", mentre la bocca del forno veniva chiusa con impasto di gesso. Il fuoco era attizzato dall'alto introducendo legna accesa in punti lasciati appositamente aperti. Lo zolfo fondeva a poco a poco colando sul pavimento e scivolando fino alla "morte" (bocca del forno), che veniva successivamente aperta per farlo defluire attraverso canaloni di legno in apposite forme. Il metodo descritto era antieconomico e le perdite di zolfo a volte erano del 50. inoltre la SO (anidride solforosa) proveniente dalla combustione inquinava la vegetazione circostante e l'aria.

Forni Gill - (vedi foto)
I forni Gill, (dal nome del suo inventore) introdotti nel 1880 nelle miniere di Gibellini, erano costituiti da due celle, in muratura, adiacenti e di forma troncoconica. Le costruzioni erano sormontate da una calotta sferica, nel cui centro si apriva un foro circolare per la carica del minerale. Il suolo delle camere inclinato, costituito da "ginisi" e la "morte" erano simili a quelle dei calcaroni. In alto le due celle comunicavano fra loro con un condotto orizzontale, nel mezzo del quale era collegata una tavola a saracinesca che serviva a chiudere la comunicazione tra le due celle, che a loro volta comunicavano con una canna fumaria. Il forno veniva acceso, dopo aver messo in comunicazione le due celle e chiuso le "morti" con muretti di gesso, con il sistema delle fascine imbevute di zolfo. Nel forno, acceso i prodotti di combustione della prima cella detta "motrice" erano sufficienti a far separare il minerale, posto nella seconda, dalla ganga, infatti la temperatura raggiungeva più di 200 gradi. Per rendere il procedimento più redditizio e usare al meglio i fumi prodotti, alle due celle base se ne collegavano altre (terziaglia, tre celle; quatriglia, quattro celle, ecc.)

Processo Frasch - (vedi foto)
Nel Texas e in alcuni giacimenti della Louisiana, la natura impermeabile del terreno dei giacimenti e la disponibilità di grandi quantità di combustibile a basso prezzo permettono di usare un procedimento di estrazione del tutto diverso e molto più conveniente, che consiste nel fondere lo zolfo nel giacimento stesso. Si utilizza il
processo Frasch, consistente nell'introdurre alla profondità dello strato di zolfo una sonda costituita da tre tubi concentrici; attraverso due di essi si invia aria compressa e vapor d'acqua surriscaldato; questo fonde lo zolfo che, per azione dell'aria, si sospende nell'acqua e risale nel terzo tubo. La necessità di non inquinare l'aria con prodotti solforati provenienti dalla lavorazione del petrolio, nei quali la presenza di zolfo è altamente nociva, ha creato una nuova fonte di zolfo. I gas contenenti zolfo vengono bruciati con grande eccesso di aria per ottenere biossido di zolfo, mentre una parte viene trasformata in idrogeno solforato. I due gas si introducono in torri da cui piove acqua, ottenendo zolfo colloidale. Per quanto la maggior parte dello zolfo venga utilizzato per produrre biossido e quindi acido solforico, esistono numerosi altri impieghi dell'elemento. Serve nella vulcanizzazione della gomma e per la produzione di ebanite; entra nella composizione di alcuni esplosivi e dei fiammiferi; in agricoltura è utilizzato come anticrittogamico.
 
                                                                        
                                                      Schema del processo inventato da Hermann Frasch            


IL "FORNO ROMA" di Gibellini

Da bambino , quando papa’ mi portava alla miniera , mi mostrava da lontano una grande struttura in ferro chiamata Forno Roma .
Da allora ne ho sempre sentito parlare ma non ho mai avuto notizie precise : sapevo che serviva ad estrarre lo zolfo e nient’altro.
L’accesso ai documenti del Co.Re.Mi. (Corpo Regionale delle Miniere) ha finalmente fatto luce .

Subito dopo la guerra il Centro Sperimentale per L’industria Mineraria commissionò ai centri di ricerca e università dei progetti per superare i vecchi sistemi di estrazione dello zolfo, basati fino ad allora sulla fusione del minerale con i forni Gill o sistemi analoghi.

Diverse miniere del bacino zolfifero vennero coinvolte negli esperimenti : Trabia Tallarita, Cozzo Disi , Ciavolotta , Juncio, Gibellini, etc.. : sistemi basati su processi di distillazione o flottazione del minerale.

A Gibellini venne assegnato il progetto del Prof. Ing Francesco Roma della Università di Bologna ..(svelato il mistero del nome !) e la realizzazione venne appaltata alla Ansaldo di Genova.

I lavori ebbero inizio nel 1955 sotto non buoni auspici : mancava l’acqua per il calcestruzzo , le strade di accesso al posto scelto erano pessime, e l’inverno del 1956 fu il peggiore che la gente del luogo ricordava : freddo, neve, ghiaccio, piogge e venti per settimane (non sembrava di essere in Sicilia).

L’impianto, provato in scala ridotta dall’Ing. Roma, era basato sulla distillazione del minerale attraverso l’azione di gas inerti (co2) ad alta temperatura. Il minerale veniva convogliato in un cilindro rotante (forno) investito da un getto di gas surriscaldato da una caldaia a nafta . La componente zolfo del miscuglio evaporava e dopo un processo di ventilazione e raffreddamento veniva raccolto puro al 99,5 %.

In realtà, dalla analisi del prodotto ottenuto ci si rese conto di una certa componente "metallica" dello zolfo, di colore scuro, che alterava la purezza del prodotto (Lo zolfo "buono" era il 93%).

Inoltre i costi energetici, carburante ed energia elettrica per movimentare il minerale, erano andati ben oltre i valori di progetto ( + 64% ).

Le prove ufficiali vennero eseguite tra il 21 e 22 Febbraio 1958 ...esattamente 50 anni fa !

Da allora tutto si fermò .

Nelle relazione del 5/7/1977 (verbale di chiusura asportazione parti), anno di dismissione dell’industria estrattiva in Sicilia, si legge :" ultimate le prove di funzionamento, tra la fine del ‘57 e l’inizio del ’58 l’impianto è rimasto fermo, per la difficoltà di messa a punto di alcune parti e per il costo di gestione particolarmente gravoso ...... sul posto vi è un ammasso di ferraglia di valore pressoché nullo, "rottami di ferro",  ove vi sia una ditta disposta allo smantellamento".

  
                
        Miniera di Gibellini                                       Ciò che resta del "Forno Roma"

                                                   I DANNI ALL'AGRICOLTURA

I materiali estratti dalle miniere, (la cosiddetta "ganga") venivano accatastati in loco e quindi bruciati per separarne lo zolfo. Ciò avveniva senza alcuna precauzione, ignorando sia la distanza dall'abitato, sia la presenza di alberi e colture varie, che così restavano irrimediabilmente danneggiate dall'anidride solforosa. 
Inevitabili quindi le proteste della popolazione che invocava (spesso inutilmente) l'intervento del Prefetto e delle varie autorità, con telegrammi ed esposti, contro gli esercenti. 

                                                


                                                               LE GALLERIE

Dalla cartina trovata presso l'Archivio di Stato si vede come le zone di estrazione fossero proprio a ridosso delle case e come ogni metro fosse conteso dai vari proprietari. Intorno all'abitato, da nord, a sud, ad est, si possono contare non meno di 25 "lenze" di proprietà: comunale, Caico, Paruzzo, Pignatelli, Piazza, Chella, Guarino, etc.

Le gallerie aperte dalla miniera del Sacramento passavano sotto la Chiesa Madre ed andavano oltre verso la via Garibaldi. Il primo effetto deleterio si ebbe con la caduta della piccola chiesa dell'oratorio della Confraternita, che sorgeva nell'attuale Parco delle Rimembranze, e nel 1900 con la caduta della torre destra della Chiesa Madre. Anche il palazzo, già del barone Paruzzo, non sfuggì alla triste fine.

                                                              

Da qui un'infinità di liti e denunzie alle varie autorità, sorde ed insensibili, anche perché il Comune era proprietario di alcune miniere (come Stazzone e Sacramento) ed aveva tutto l'interesse a non dare seguito ai vari reclami. Anzi in una seduta comunale, (sindaco doppiamente interessato era Federico Caico) la distanza minima delle gallerie dall'abitato, che per legge era stabilito in metri 100, fu portato a metri 70.

                                     
            delibera del consiglio comunale: porta a 70 metri la distanza minima di protezione: e la chiesa crolla!


                                                                     I CARUSI

Ed i "carusi"? Si è da sempre parlato dei carusi e se ne continua a parlare. Chi erano costoro? Si trovavano solo nelle grandi miniere come Gibellini o in quelle di Serradifalco o San Cataldo? Purtroppo esistevano anche i "carusi" montedoresi. Da una lettera di denunzia inviata da un certo Carlo Capitano all'Ingegnere Capo del Regio Ufficio Minerario di Caltanissetta, si vede come lo sfruttamento brutale del lavoro minorile avveniva anche a Montedoro, nelle miniere Sociale e Cannataro (sotto la Chiesa Madre) ed in quella di Cuba.

                
                      lettera autografa di Carlo Capitano                                             lettera trascritta                   Una volta e...... adesso

                                                 
                                                        GALLERIA ACQUEDOTTO

Le miniere della zona Cuba avevano grossi problemi per eliminare le acque del sottosuolo ed evitare allagamenti. Venne allora fatta un'opera d'incredibile ingegneria dall'impresario Cesare Florio, gestore delle miniere gruppo nord: venne scavata una galleria di oltre seicento metri che dall'attuale campo sportivo scendeva verso la parte sottostante di Cuba e si dirigeva verso Fontana Grande, andando a sfociare nel vallone Muddichedda, sotto l'Albanello. Detta galleria era in parte armata, in parte no, attraversando roccia e gessi di una certa consistenza. Una riprova dell'esistenza di detta galleria si ebbe una ventina di anni addietro, in seguito alla costruzione dei piloni del viadotto che doveva collegare Montedoro a Bompensiere, rimasto tristemente incompiuto. Con molta probabilità uno dei pilastri, centrando il vecchio cunicolo ad una ventina di metri, ostruì il deflusso dell'acqua che risalendo nella falda fuoriuscì in superficie proprio nel nostro terreno di Cuba, dando luogo ad un discreto accumulo d'acqua!

                                                              

 

                               ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO E COSTI

Tutte le solfare attorno all’abitato di Montedoro avevano una organizzazione artigianale : gli unici attrezzi di lavoro erano il piccone e gli sterratori .
I picconieri avanzavano nello scavare le buche ed i carusi, 4 o 5 per picconiere , provvedevano a spalla a portare all’esterno il minerale .
Tutti i compensi erano a cottimo . La misura per calcolare la prestazione era la cassa .

Da una relazione del 25 Giugno 1892 leggo :

Solfara Cuba :

cassa m 2.06 x 2.06 x1.03 .
Ai picconieri £ 14 a cassa , di cui 8 ai carusi .
Impanottazione sterri e carico calcheroni £ 5.50 a cassa-scarico £ 0.75 a cassa .
Arditore
£ 2.50 al giorno......forse l’arditore era l’unico salariato a giornata .

Solfara Orfani :

Nell’inverno del 92 si e’ costruito un acquedotto di 285 metri , con 2 buche di ventilazione , una di 15 metri e l’altra di 28 .
Il costo dell’opera ammonta a £ 10.000.
Per sollevare l’acqua fino a detto acquedotto vi è una pompa a 2 colpi con 3 uomini addetti per un totale di 18 pompieri.
L’impianto è in comune alle 5 solfare del gruppo Nord. Per l’eduzione dell’acqua Cuba paga £ 5 al giorno mentre le altre 4 (Lampa,Orfani,Caico e Chella) pagano il 4% della produzione.

Solfara Orto Paruzzo :

In forza 16 picconieri con 4 a 5 carusi ciascuno. Cassa poco piùdi 6 Mc.
Si paga ai picconieri £ 21 a cassa lo sterro e £ 24 per il minerale . I picconieri danno £ 12 a cassa ai carusi .Gli operai non lasciano alcuna ritenuta per ferraro , assicurazione ...etc.
In opera 2 pompe della forza di 1 uomo con altezza di elevazione di m 5 che da acqua ad un’altra pompa della forza di 3 uomini con altezza di 40 metri. Per ogni sciolta 4 pompieri-3 sciolte al giorno.

Solfara Cannataro :

In forza 5 picconieri con 20 carusi .
1 pompa con 1 uomo-altezza elevazione m 10 , 2 pompieri al giorno.

Venti anni dopo qualcosa sembra cambiata.

Dalla relazione del 21 Febbrario 1911 alla solfara Orto del Signore si legge:

La lavorazione è ridotta a causa della difficoltà a prosciugare il giacimento , la pompa elettrica, che sarebbe conveniente, non sempre funziona e a causa dei guasti viene sostituita molto spesso dalla pompa a vapore che riesce molto costosa .

A causa della limitazione del fronte di lavorazione e dei costi di eduzione, spese generali, sorveglianza, amministrazione, gabella, sub-gabella e all’appalto per il terreno di fusione per mancanza di spazio e rispetto delle distanze di sicurezza dall’abitato, le condizioni economiche sono cattive. Infatti si calcola che la tonnellata di prodotto costa all’esercente £ 78,00 mentre il presso di liquidazione posto Montedoro è di £ 66.70 .

 

      GABELLA DA PARTE DEL COMUNE  DELLA SOLFARA "COMUNELLO"

                             
       
         

 

   MINIERE ORTO DEL SIGNORE  E NADURELLO
 
     
Pianta della miniera Orto del Signore                     Planimetria dei vuoti sotto l'Orto del Signore

Le miniere Orto del Signore e Nadurello, limitrofe all'abitato, spesso causavano dei grossi guai ed erano soggette a frequenti ispezioni da parte del Corpo delle Miniere. Come si vede dalla cartina, la miniera era situata proprio all'uscita del paese, lungo lo stradale che porta a Serradifalco, adiacente alla casa Bufalino ed all'attuale Biblioteca. Le acque piovane che scendevano dal paese s'incuneavano dietro la casa Bufalino ed allagavano tutta l'area sotto la quale esistevano enormi vuoti dovuti alla miniera. Con la conseguenza che spesso la stessa miniera restava allagata. L'Ispettore che il 4 ottobre 1906 redige il verbale consiglia addirittura di non coltivare quell'area per via dell'inquinamento dovuto ai fumi dei calcaroni e perché, rimuovendo la terra, si creavano degli acquitrini. (Quanta verdura abbiamo mangiato da piccoli, proveniente proprio dall'Orto del Signore!!).
La linea tratteggiata con la scritta "tubulatura d'acqua" era la conduttura che portava alla vecchia vasca l'acqua proveniente dalla sorgente dell'Acqua Ammucciata, dove spesse volte mio nonno Federico ed il fratello Caliddu scoprivano i famosi "guasti" dell'acqua. Lì evidentemente il ristagno dell'acqua e l'abbassarsi del livello a causa dei vuoti sottostanti facevano incrinare e rompere le condutture. 


       

                                LE LOTTE DEI MINATORI

Dalla relazione del 27/6/1904 alla miniera Orto del Signore

Gli operai della miniera si sono da oggi astenuti dal lavoro per una vertenza sorta tra essi e l’esercente sulla misurazione del minerale.

Fino ad ora era usato di "tommare" lo zolfo estirpato servendosi di una cassetta di legno delle domensioni di m. 1 x 1 x 0,5, ossia della capacità di 1/8 della cassa di mc 4.

Oggi i picconieri dicono che tale misura non conviene più loro perché il minerale vi va dentro troppo stipato e chiedono si inizi il sistema di impostare il minerale sui piani; sembra però che l’esercente non sia disposto a concedere questa innovazione così, secondo ogni probabilità, siamo in presenza di un vero e proprio sciopero, la cui durata non è facile prevedere.

Si ha ragione di ritenere che per le mutate condizioni economiche del paese, dovute al forte contingente dato da questo alla emigrazione, e ai continui soccorsi di denaro che provengono dalle Americhe, la resistenza della classe operaia possa essere più valida nel sostenere le loro domande.

Da informazioni assunte risulterebbe infatti che circa 1500 (?) persone sono sino ad oggi emigrate da Montedoro, delle quali circa 300 operai di miniere ed in maggior parte o picconieri o giovani validi a fare da piccononieri. Essi dicesi hanno trovato impiego nelle miniere di carbone degli S.U. del Nord e abitano a Pittston .

Omissis

La caldaia a vapore e’ inattiva poiché sospesa da tempo la fusione a vapore

Gestore :
Giardina Salvatore

Operai 50 di cui 2 fanciulli

Nota personale: la caldaia era stata riparata il 2 Dicembre del 1902 da Caliddru e Federico ( pag. 215 del libro mastro).