FEDERICO MESSANA       poesie, racconti ed altro......     
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 Vincenzo De Castro, nel 1872, fece pubblicare a sue spese un opuscolo 
(rintracciato presso la Biblioteca Risorgimentale di Milano) che doveva magnificare il nostro don Cesare Caico, ma che, a giudicare dal contenuto, 
riuscģ soltanto a fare sfoggio della sua compassata eloquenza


Avv. CESARE CAICO

di  MONTEDORO

Avvezziamo gli uomini e l'invidia a udir le lodi di coloro che le han meritate.
                             (Isocrate, Elogio di Evagora)

Nel novero di quegli eletti italiani che posero in cima d'ogni loro pensiero la nostra gran patria, e fecero segno d'ogni loro affetto l'educazione e l'istruzione del popolo, indubbiamente rifulge l'avvocato Cesare Caico de' Caico di Montedoro. Anima civilmente virtuosa, e virtuosamente e gagliardamente operosa, ei nulla pensò, nulla fece che non mirasse al bene del proprio paese. Parlare di lui è porgere esempio mirabile di virtù cittadine, e dire alla generazione che cresce: Ammira ed imita. Se l'Italia potrà in avvenire confortarsi d'uomini che a lui somiglino per la dignità del carattere e l'operosità della vita, diverrà una nazione veramente civile, una terra di generosi, i quali sacrificando i piaceri della carne al culto dell'idea, gli affetti egoistici alla coscienza del pubblico bene, illustreranno il paese in cui nacquero e il tempo in cui vissero.

Scrivendo questi pochi cenni intorno ad un patrizio siciliano col cuore puro di servile adulazione, intendiamo incarnare il concetto che ci siamo formato dell'eminente patriota, a cui la fortuna non fu avara del suo sorriso, e dei doveri che derivano dalla posizione sociale, a cui venne sortito dalla Provvidenza.

 

I

Cesare Caico nacque in Montedoro, nel centro della Sicilia, quasi alla vigilia di quel movimento politico, che da quella terra di forti propagossi nel 1848 a tutta Italia. Nella famiglia sua, una delle più antiche dell'Isola, ebbe fin dalla sua prima giovinezza esempi di patriottismo e di specchiate virtù; cotalché possiam dire che sulle ginocchia materne cominciasse a informare il cuore alla bontà del carattere, e sul tipo paterno a modellare lo svegliato intelletto a pensieri e intendimenti nobilissimi.

La Sicilia, dai re Aragonesi in poi vivente d'una vita del tutto isolana, segregata dagli interessi comuni della terra italiana, era un gran che se da' suoi abitatori si considerasse appartenere geograficamente all'Italia; ed erano in generale considerati come utopisti sentimentali coloro, che predicavano la Sicilia per ragioni geografiche, storiche ed etnografiche formar parte integrante d'una sola e medesima patria.

Uno di questi utopisti era Franco, il padre suo, che fin dai più teneri anni ispirò nel suo diletto primogenito l'amore all'Italia e a quegli ordinamenti civili e politici, che schiudono più largo orizzonte all'opera dei cittadini, e meglio ne curano gli interessi materiali e morali.

Mortogli il genitore, che lasciò in Montedoro fama di padre del popolo, il figlio continuò le nobili tradizioni e le benefiche ispirazioni, che sono, per così dire, congenite nella sua famiglia; e mostrò subito non con parole, spesso bugiarde ed ingannevoli, ma coi fatti quanto amasse il bene del popolo, promovendo ed aiutando nel suo Comune tutte quelle istituzioni, che potessero giovare alla sua prosperità materiale, e al suo sviluppo intellettivo e morale.

 

II

Fu detto che la sola via possibile del miglioramento e della redenzione delle nostre plebi è quella dell'educarle e dell'istruirle. Ogni altra prova diversa, checché romorosamento si schiamazzi, farà molto peggiore la condizione del popolo, tanto dai gridatori del tempo nostro adulato e disprezzato. Solo per questa via si deve procedere alacremente da quanti sono gli amici del popolo, e in ogni sua parte con apparenza di scuole o di ricoveri, ma con vere istituzioni educative coltivare le forze tutte del figlio del povero, crescerle nell'esercizio delle opere manuali e delle morali; ispirargli l'amore del lavoro, del risparmio, dell'ordine, della giustizia distributiva, della disciplina, delle leggi e dei magistrati, a tutto dire della famiglia, della patria, di Dio. Questa è l'opera di tutto e di tutti, e specialmente di coloro che furono sorrisi dalla fortuna ed hanno beni d'intelletto e beni materiali.

 

III

Cesare Caico, che il ricco censo degli avi consacra in bene del proprio paese, è appunto uno di questo bel numero, è tra i patrizi italiani dei pochi ma buoni, che considerano il dirozzamento delle plebi come un dovere religioso e civile; per cui nel suo Montedoro divenuto per opera sua un Comune modello, aperse le prime scuole, le quali non ne avessero solo il nome, ma in realtà mirassero ad educare ed elevare le plebi campagnuole, vittime di secolari pregiudizi e della più crassa ignoranza, a grado e dignità di popolo civile. E siccome è il maestro che fa la scuola, e tanto vale la scuola quanto il maestro; così pose innanzi tutto ogni sollecitudine nella scelta degli educatori, provvedendoli largamente, e curandone con occhio vigile e amoroso la parte educativa e morale. Poiché non è tutto, come si crede, il porre una semente o una pianta, se non si aggiungono le cure e le fatiche nel custodirla, nel coltivarla, nel porgerle l'alimento più confacente, rimuovendo da esso tutto quanto possa nuocerle. E così fece il Caico; per cui le scuole maschili e specialmente le femminili, grazie alla egregia educatrice, a cui furono affidate, meritarono dallo stesso Ministero della Pubblica Istruzione la medaglia d'argento, e il suo promotore il titolo di benemerito della popolare educazione.

Non appena le parole della stampa educativa giunse in cotesto remoto angolo dell'Isola, e sentì levare a cielo una istituzione invocata come forma tipica per la riforma dei nostri Asili, il Caico si mise in diretta comunicazione coi promotori dei Giardini d'Infanzia, desiderando vivamente che il suo Montedoro fosse tra i primi Comuni della Sicilia a fruire di questo beneficio. E il desiderio, il voto del suo cuore, vinte certe opposizioni d'un genio malefico, stanno per tradursi in atto col plauso di tutti i buoni e con notevole vantaggio delle stesse scuole elementari, a cui mancava, per così dire, la base. La nostra Scuola Normale Speciale, di cui il Caico è fra i più generosi patroni, ha già proposto per invito del Municipio tre delle sue migliori allieve, la cui opera intelligente ed amorosa non solo sarà tenuta nel debito conto, ma largamente rimunerata.

 

IV

Allorché la Società promotrice dei Giardini d'Infanzia, che va lieta di averlo a suo vice-presidente onorario, sentito il bisogno di un Manuale per 1e educatrici della Infanzia che rispondesse alle condizioni fisiche, intellettuali e morali del bambino italiano, e si attemperasse al solenne verdetto del Congresso pedagogico di Napoli, decise di aprire un concorso, aggiungendovi alcuni libri che mancano alla nostra letteratura infantile; il Caico fu tra i più larghi soccorritori dei fondi pei premii, che saranno aggiudicati nel Congresso pedagogico di Venezia.

(L'avv. Cesare Caico stabilì un premio di lire mille per un Manualetto italiano , che facendo tesoro delle buone tradizioni italiane e dei metodi più razionali in uso fra le civili nazioni, dotasse l'Italia d'una Guida per le educarci dell'infanzia. Questo premio non è da confondersi col premio Rossi, anch'esso di lire mille, per un Manuale Aportiano).

Non, vi è opera buona, non istituzione caritativa, non impresa utile al. proprio paese, in cui manchi mai il nome di. questo generoso filantropo, di questo egregio cittadino.

E a prova basterà ricordare quanto egli operasse all'infierire dell'ultimo morbo asiatico, che desolò l'intera Sicilia. Grazie alle sue cure previdenti e ai sagrifizii e soccorsi d'ogni maniera fatti durante quel terribile disastro, Montedoro, a confronto dei paesi convicini, diede il minor numero di vittime, e poté uscire quasi illeso da quella generale jattura.

E poiché accennammo alla sapienza delle cure preventive, che in molti casi potrebbero scongiurare tanti pericoli, e temperare tante sventure, giova qui ricordare come per iniziativa del Caico si fondasse in Montedoro una condotta medica affidata a distinti cultori d'Esculapio, fra i quali basta ricordare il nome illustre del Migneco. I salutari soccorsi prestati da essa in quella generale morta, congiunta ai pronti aiuti materiali e morali, di cui egli fu più che prodigo, in quella dolorosa contingenza, giovarono grandemente ad alleviarne i gravissimi danni. Per tante benemerenze s'ebbe dal governo del Re la grande medaglia d'oro del merito civile.

 

V

Fra i mezzi educativi d'un popolo esercita una grande efficacia la divina arte d'Euterpe. La musica possiede la forza meravigliosa d'evocare un mondo intero d'idee, di sentimenti, d'espansioni, di desiderii e di emozioni d'ogni maniera, che prima nulla valeva a risvegliare nella profondità dell'anima. La misteriosa influenza della musica sulla sensività, sull'immaginazione e sulla intelligenza s'accresce allorché è secondata dalla natura esteriore, schiudendo nell'anima sorgenti fecondissime di sentimenti e d'idee morali, estetiche e religiose.

Ad educare con questo mezzo a sentimenti morali, estetici e religiosi il buon popolo di Montedoro stipendiò del suo un valentissimo maestro e istituì una banda musicale, che va fra le più lodate di quella nobile provincia. Questa banda rallegra delle sue dolci armonie così le feste religiose come le cittadine, e tiene vivo nel popolo I' amore a Dio, all'Umanità, alla Patria.

E questo amore alla patria lo manifestava il Comune di Montedoro nella solenne ricorrenza del Centenario di Dante. Fra le mille e mille bandiere dei Comuni italiani, che quella occasione sventolarono in piazza Santa Croce, abbiamo salutato i bei colori di Montedoro, che brillavano come l'oro di quel monte, uno dei più ricchi della Sicilia per le miniere di zolfo, in gran parte possedute dalla famiglia dei Caico. Era forse il solo Municipio di quella provincia, che per sua iniziativa onorava l'altissimo poeta della Cristianità, il terribile Giustiziere del suo secolo, il precursore della indipendenza ed unità nazionale.

E' pure dovuto all'intelligente opera sua se per il centro dell'Isola, e quindi a breve tratto da Montedoro, passerà tra breve la principale arteria ferroviaria, che per mene municipali minacciava deviare con grave offesa dell'interesse generale. La nobile provincia di Caltanisetta, il centro della rete siciliana, riconosce nel Caico il più dotto e gagliardo propugnatore di cotesto interesse veramente nazionale ed italiano.

 

VI

Condotta a termine questa massima arteria dell'Isola, chi ne visiterà questo angolo remoto, vedrà sorgere quasi principe di quella ricca convalle il piccolo paese di Montedoro, e mentre il suo sguardo s'allieterà nello svariato panorama che lo circonda, nei campi sparsi di vigneti e di agrumi e fiorenti della più rigogliosa vegetazione l'animo suo sarà commosso dalla patriarcale bontà de' suoi abitanti e dalla più cortese ospitalità della famiglia dei Caico, che è, per così dire, proverbiale in quel paese, e di cui abbiamo così rari esempi fra noi.

 

VII

Possa il modello del cittadino e dell'amico del popolo, che abbiamo profilato nel patrizio siciliano, trovare nel patriziato italiano molti seguaci ed imitatori, e tanto più ora che la questione sociale s'avanza a gran passi anche fra noi, e che noi possiamo a tempo scongiurare col senno e coll'opera. Se il vecchio patriziato, tranne poche ed onorevoli eccezioni, sotto le signorie che tenevano l'Italia schiava dello straniero, consumava il censo avito in cocchi dorati e in ozii inverecondi, la giovane aristocrazia democratizzata, a cui ancora sorride la fortuna de' suoi doni, cancelli le vergogne degli avi degeneri, e si mostri degna delle nuove sorti, a cui è chiamato il nostro paese. Se il possedere importa seco dei grandi doveri, lavori anch'essa in bene della patria comune, e cooperi efficacemente colla scienza e colla carità educatrice alla soluzione d'uno de' più urgenti problemi sociali, il miglioramento materiale e morale delle classi lavoratrici. Suoni sempre al suo orecchio il grido di quell'antico imperatore alle sue scólte: "Laboremus"; lavoriamo, lavoriamo e prepariamo alle generazioni venture il ricovero, il pane, i mezzi d'istruirsi e d'educarsi. Saremo noi tanto sgomenti, diceva l'autore dell'avvenire dell'operaio, dello spettacolo delle odierne calamità per non vedere, attraverso le nebbie dei mali presenti, i sereni e luminosi orizzonti dell'avvenire? Che sono mai gl'individui e le generazioni, se non gli operai di un'ora nell'edifizio del progresso? Sono sei mila anni, se non infinitamente di più, che l'Umanità, quest'altra grande operaia, combatte contro la natura per rapirle i suoi misteriosi segreti; ma la natura per lasciarsi vincere, per venire anche generosamente in soccorso dello sforzo dell'uomo, e per dischiudergli i tesori inaspettati de' suoi beneficii, vuol essere tentata e ritentata con perseveranza indomabile, non lasciandosi vincere e domare se non dal genio e dal sacrifizio. In sessanta secoli di lotta quanto lavoro, e quante forze sprecate per non aver compreso la nostra missione! Se in luogo d'insanguinare ed isterilire la terra con mille guerre insensate, avessimo rivolto tutte le nostre forze allo sviluppo pacifico della industria, di quanto non sarebbe oggi più ragguardevole il numero de 'nostri capitali? Lavoriamo sempre! Non una stilla del nostro sudore bagnerà inutilmente la terra; i nostri figli ne raccoglieranno i frutti. Se noi siamo infelici, non sarà per noi la più pura delle gioie il sapere che il nostro dolore tornerà a vantaggio di quelli, che succederanno a noi in questo breve soggiorno, che il nostro dolore anch'esso è uno strumento di bene nelle mani della Provvidenza? Non siamo noi nati come dice Shakespeare, per essere benefici? Misero l'uomo che percorre la sua carriera senza nulla produrre, senza lasciar di sé traccia nel mondo! Egli si dilegua come un'ombra, egli non ha mai vissuto; perché vive solo colui che intende e compie la sua sublime missione; colui che porta il suo granello di sabbia, la sua pietra all'edifizio del progresso umanitario. Togliete questa grande idea, questa fede, questa religione del progresso, e alla coscienza degli uomini non rimarrà più un raggio di luce, che li guidi nel buio sentiero de' loro destini.

 

VINCENZO DE CASTRO

Borgomanero - Cervia 1872