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               LA STORIA DI LUCIA

                                         

           Montedoro, 6 gennaio 1955


               Tra meno di due mesi Lucia avrebbe compiuto 13 anni. A tredici anni, una ragazzina in quel paese e negli anni quaranta del secolo scorso, era considerata una bambina, ingenua e soprattutto senza alcuna esperienza di vita. E tale era da ritenersi Lucia Mantione se, dopo aver frequentato la quinta elementare era rimasta, come tante sue coetanee, in famiglia per accudire alle faccende domestiche ed alle tante necessità quotidiane. Il paese poteva definirsi sicuro, perciò anche una bambina poteva muoversi indisturbata per vicoli e vie, per giocare con le amiche coetanee o per sbrigare i piccoli servigi richiesti dalla mamma. A recente memoria nulla di particolarmente sgradevole era stato denunziato, nessuna azione di violenza verso minori e nessun atto riprovevole che lasciasse presagire il sia pur minimo allarme. Si diceva del resto che in paese ci si conosceva tutti, che i 3700 abitanti accalcati in un fazzoletto di terra erano tutti amici o parenti, e che regnava il rispetto reciproco tra tutte le famiglie. In quegli anni il paese aveva raggiunto il massimo numero di abitanti, nonostante l’emigrazione verso le Americhe, e solo negli a venire la forte emigrazione verso il nord li avrebbe dimezzati.

            Nel piccolo paese non erano ubicate fabbriche né stabilimenti di alcun tipo; unico lavoro possibile era quello dei campi, ed all’agricoltura erano normalmente avviati i figli degli agricoltori che possedevano un pezzo di terra ed un mulo per lavorarla. L’alternativa per i giovani era di dedicarsi allo studio, e pochi ne avevano la possibilità, oppure di andare a bottega presso un artigiano, come sarto o fabbro ferraio. Le ragazze invece avevano un’altra occasione di lavoro e d’apprendimento. In quegli anni era scoppiata la moda del ricamo, perciò le sarte si circondavano di ragazze che volessero imparare quel mestiere. Ed erano diventate veramente brave se i loro pregiati prodotti erano richiesti dai tanti commessi che giungevano da ogni parte per acquistarli a buon prezzo. Si vedevano questi signori giungere con macchine capienti e grosse valigie, ripartire carichi di biancheria finemente lavorata, per poi tornare ogni inizio settimana per altri acquisti. Prodotti molto apprezzati che finivano nelle vetrine di eleganti e prestigiosi negozi. Pizzi e merletti, capi di biancheria intima, corredi, stole e tanti altri prodotti di sartoria. Non a caso, la nostra paesana Vita Sciandra donerà a Papa Giovanni Paolo II una stola finemente lavorata, frutto del suo lavoro e della sua lunga esperienza di ricamo. La nostra Lucia invece non s’era dedicata alla sartoria come alcune sue amiche.

           La conformazione orografica divideva in due il paese: una parte bassa comprendeva la piazza e le vie principali, come la via dei santi, così chiamata perché attraversata dalle processioni nelle feste solenni, la chiesa, i bar ed i locali pubblici, mentre la parte alta la circondava da ovest a nord come una conchiglia, con le vie che s’inerpicavano ripide. In fondo ad una scalinata verso nord sorgeva un vecchio edificio che ospitava i locali scolastici. E proprio in una via laterale all’inizio di questa scalinata, in via Aspromonte, abitava Lucia con la propria famiglia, mamma, papà, fratelli e sorelle. Una famiglia modesta, come tante in paese.  I dammusi e le case ad un solo piano pullulavano di marmocchi di tutte le età, e la vita quotidiana normalmente si svolgeva fuori l’uscio di casa, data l’esiguità dello spazio dell’abitazione. Fuori dell’uscio veniva esposto il banchetto di chi aveva un’attività artigianale, fuori era stesa la biancheria ad asciugare, le mandorle o il pomodoro da essiccare. Era quindi impossibile che una persona che usciva di casa per una qualche incombenza non venisse notata. Normalmente si scambiavano due chiacchiere coi vicini, pettegolezzi tra comari, notizie sull’andamento della semina o del raccolto.

           Vigevano i vecchi costumi per cui tra ragazze e ragazzi che non avevano una conoscenza diretta parentale o di vicinato o di studio, gli unici rapporti erano "visivi", ci si incontrava cogli occhi durante le interminabili passeggiate in piazza o all’uscita dalla chiesa dopo le funzioni domenicali. Così ci si intendeva per eventuali fidanzamenti, senza aver profferito parola, quando invece non era la famiglia, tramite una sensale o un amico compiacente, a comunicare che sarebbe stato gradito il fidanzamento della propria figlia o figlio, senza che i due si conoscessero. I bambini potevano quindi giocare e scorrazzare per vie e piazze fino a tarda ora, per fare ritorno alla propria abitazione quando, venendo meno la luce del giorno, si accendevano i lampioni posti agli angoli delle strade. A quel punto un urlo di gioia copriva il silenzio che regnava per le vie, silenzio rotto soltanto dal rumore degli zoccoli dei muli che con in groppa i loro stanchi padroni facevano ritorno dai campi dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro. E forti e rauchi si sentivano gli incitamenti dei contadini che ordinavano al mulo d’accelerare l’andatura o di fermarsi perché giunto davanti l’uscio di casa, prima di legarlo al classico anello ed alleggerirlo della pesante soma.

           Era un giovedì, il sei di gennaio del 1955, giorno della befana. Anche se il giorno precedente aveva piovuto, le basse nubi, che al primo mattino coprivano la parte inferiore del paese ed i campi circostanti, s’erano dissolte sotto un timido sole, sufficiente per asciugare la piazza e le vie del paese. In paese la befana per tradizione era alquanto povera, e non portava regali importanti ai bambini, come nel giorno dei morti, ma solo qualche dolciume e caramelle. E così dev’essere stato per la povera Lucia appartenente ad una modesta famiglia contadina che sbarcava il lunario col duro lavoro dei campi.

          Nel tardo pomeriggio di quella giornata uggiosa dei primi di gennaio, un leggero vento freddo di tramontana soffiava da nord; scendendo per la scalinata che portava alle scuole elementari, investiva la via principale del paese fino alla piazza. Poche erano le persone in giro per le strade, e solo un gruppo di ragazzi si attardava a giocare a pallone nella piazza detta "del dopolavoro". Rimaneva ancora aperta la sala del bigliardo frequentata dai tanti amanti di quel gioco, come il farmacista don Tatà Lima che, accanito fumatore, alternando una sigaretta all’altra, studiava mosse sul tappeto verde e faceva proseliti. Era in corso una delle tante infuocate partite a carambola tra don Tatà e don Giovanni, e fin verso la piazza s’udiva il rumore delle palle che sbattevano una sull’altra, seguito dagli incitamenti e dagli applausi che gli astanti tributavano ai due contendenti.

         La sera incipiente cominciava ad oscurare le vie, mentre rimanevano aperte ed illuminate le porte dei negozi per offrire ai clienti ritardatari le ultime mercanzie della giornata. Aperte erano le imposte del macellaio "la Vampa", quelle della "Scarpareddra" che vendeva generi alimentari, quelle del forno "La Mariuzzeddra" con andirivieni di clienti che portavano a casa la classica focaccia calda per la cena. Tutto secondo un rituale scandito dai rintocchi dell’orologio della chiesa che batteva ogni quarto d’ora. Anche il negozio dei Salvo (Nnummarùni), situato all’inizio della scalinata, era aperto ed esponeva davanti l’uscio frutta e verdura d’ogni genere. Ogni tanto qualcuno della numerosa famiglia faceva capolino ed urlava (vanniàva) i suoi prodotti, portando i palmi delle mani aperti ai lati della faccia per meglio veicolare la sua voce in una certa direzione.

 

                              L'AFFANNOSA RICERCA di LUCIA                                    

Il buio era già calato da un pezzo e tutto sembrava tranquillo come ogni sera; chi si fosse trovato a percorrere la via principale Vittorio Emanuele, come le altre del resto, avrebbe sentito il tintinnio delle stoviglie e la voce dei genitori che invitavano i figli a tavola, segno che la cena era imminente.

"Avete visto per caso Lucia? Era uscita per andare a chiamare il fratellino che giocava per strada, ma ancora non è tornata a casa", disse la donna con voce concitata.

Era la mamma di Lucia, che cercava la figlia di appena tredici anni. Solo adesso con l’avanzare del buio s’era resa conto della sua assenza, distratta dalle faccende domestiche, o perché pensava che fosse davanti casa a giocare con qualche amica. Il fratellino era tornato da solo, senza Lucia, da circa mezz’ora, ed evidentemente non s’erano incontrati.

"No, da qui non è passata oggi pomeriggio. Non è ancora tornata a casa?", domandò la proprietaria del negozio.

"Solo adesso ci siamo accorti che manca da circa un’ora. Il fratello è tornato, lei no".

"Provate a chiedere a mastro Rosario o al forno. Magari è rimasta a chiacchierare con le sue amiche", disse quella di rimando.

"Avete visto Lucia’", andava gridando sempre più concitata e disperata, bussando ad ogni portone, ad ogni negozio ancora aperto, a chi incontrava per strada.

La risposta era sempre negativa, nessuno l’aveva vista per le vie del paese.

          Alla mamma s’erano aggiunti i figli ed i parenti, sparpagliandosi per le vie appena illuminate, altri volenterosi ed amici spontaneamente si misero alla ricerca di Lucia, setacciando tutte le vie del paese, la piazza, i bar, le trattorie. Ma nessuno forniva notizie sul suo passaggio, nessuno l’aveva vista quel tardo pomeriggio, Lucia sembrava essere svanita nel nulla. A quel punto furono avvisati i carabinieri, correndo nell’unica piccola caserma situata nella parte alta di via Diaz. Questi si diedero subito da fare coadiuvando i familiari alla ricerca della scomparsa. Prima lungo le vie del paese, già setacciate dai parenti senza alcun esito, quindi con una camionetta cominciarono a perlustrare l’immediata periferia e lo stradale appena fuori dell’abitato. Non ottenendo alcun risultato, rimandarono le ricerche alle prime luci dell’alba del mattino seguente, il 7 di gennaio.

           Intanto nella casa di Lucia era scesa la più cupa disperazione, singhiozzi, pianti ed urla s’udivano a distanza, le luci rimasero accese tutta la notte. Ormai tutti disperavano che la piccola potesse fare ritorno a casa, ed un triste presagio aveva preso il sopravvento su ogni pur minima speranza. Disperato il padre, infermo ed impossibilitato a collaborare alle ricerche, disperata la madre, i fratelli e le sorelle. Inutilmente i vicini cercavano di consolare quei poveri disgraziati. Solo a notte fonda giunse un po’ di quiete, in attesa delle prime luci della nuova e speranzosa alba.

           Di buon mattino i carabinieri di Montedoro, capeggiati del tenente Marzollo, ripresero le ricerche nel circondario, sicuri che la ragazzina, viva o morta, non poteva trovarsi in paese ma in qualche anfratto o in una delle tante casette abbandonate nei campi immediatamente fuori del paese. Si sbagliavano? Chi lo sa; per essere certi ed escludere ogni ipotesi, avrebbero dovuto mettere a soqquadro tutte le abitazioni del paese, cosa non facile d’attuarsi, e con risultato non prevedibile. Allora indirizzarono i controlli cominciando dai viottoli che portavano verso la campagna, discesero le trazzere dietro il cimitero, poi quelle che passando per la Cuba portavano verso Fontana Grande, risalendo verso l’Albanello fin sotto il monte Ottavio. Girarono verso la parte est del paese fin sotto il Calvario, poi verso la Madonna delle grazie per risalire fin verso la Chiesa. Due giorni di affannose ricerche senza trovare tracce o indizi di un eventuale passaggio della giovane Lucia.

 

         

 

              Alle 8,30 della domenica 9 gennaio, quindi dopo tre giorni dalla scomparsa di Lucia, il fratello di lei Rosario, che insieme al cognato Giuseppe aveva ripreso le ricerche, scoprì il corpo della ragazzina. Giaceva dentro un piccolo tugurio, da tempo abbandonato e senza tetto, in contrada Cuba, a sinistra della trazzera che porta verso contrada Fontana Grande. Giaceva per terra a bocca aperta, le narici dilatate e le vesti scomposte sul corpo. Un carabiniere, impegnato nelle ricerche e che si trovava nei pressi, corse in paese a comunicare la triste notizia che subito rimbalzò di bocca in bocca e di casa in casa. Grande fu lo strazio dei familiari che, ormai rassegnati al triste ed inevitabile evento, poterono perlomeno darsi momentanea pace. L’autorità giudiziaria di Caltanissetta, informata del ritrovamento del corpo, accorse immediatamente sul posto. Fu chiamato ad esaminare il cadavere il dott. Mancuso che, constatata che la morte era avvenuta per asfissia prodotta da strangolamento, dispose la rimozione del corpo della povera Lucia. Senza ombra di dubbio fu quindi un assassinio, e quasi certamente delitto a scopo sessuale. Fino a quel momento ignoto fu l’assassino (o assassini) e nessun dubbio poté sussistere verso parenti o amici della ragazza, data la sua condotta assolutamente irreprensibile e che mai aveva dato adito a pettegolezzi di alcun genere.

           Molti misteri s’accavallarono intorno alla sua morte e molte illazioni e commenti si sentirono per le vie del paese. Chi sarà stato il misterioso assassino? L’avrà strangolata perché si opponeva ai tentativi di violenza o ha compiuto l’efferato delitto dopo averla violentata per atroce voluttà di sadico? Domande, illazioni e supposizioni che potranno essere chiariti solo dopo che verrà effettuata l’autopsia sul povero corpo. Intanto i carabinieri con a capo il tenente Marzollo, insieme alla squadra mobile di Caltanissetta, continuano ad indagare attivamente per fare luce sull’efferato delitto. Certo è che una giovane ragazza, figlia di una famiglia di contadini col padre infermo, è stata barbaramente uccisa da un mostro senza nome: almeno per ora. Intanto la madre disperata implora un’esemplare vendetta verso l’assassino, se mai sarà smascherato.

Così riferirono il triste evento i giornali dell’epoca, i primi giorni dopo la scoperta del cadavere.

                            

 

 

                 Intanto emergevano nuovi particolari sul rinvenimento del cadavere di Lucia, evidenziati anche dalla stampa locale. Infatti vicino al corpo della ragazza erano stati rinvenuti un coltello a serramanico, chiuso, ed un bottone. E’ stato accertato che il coltello a serramanico sarebbe appartenuto all’individuo, o agli individui, che assassinarono Lucia, mentre il bottone apparteneva alla camicetta della ragazza. Da elementi raccolti dalla polizia pare non doversi escludere che più d’un individuo fu con la ragazza sul luogo del delitto. Frattanto il mistero s’è fatto più fitto che mai, perché non solo sono caduti i sospetti che si erano addensati sui due giovani fermati e poi rilasciati dalla polizia, uno di questi da poco uscito dal riformatorio di San Cataldo, ma anche la perizia necroscopica non ha potuto fornire alcun elemento. La ragazza, infatti, è risultata perfettamente integra nel corso dell’autopsia eseguita dal prof. Stassi dell’Università di Palermo, né traccia alcuna di violenza è stata rilevata sul suo corpo tranne un graffio al mento. Al collo della vittima, che è certamente morta per asfissia, nessuna traccia delle impronte dello strangolatore. Poiché però la ragazza era in possesso di un fazzoletto da collo, le dita dell’assassino, premute sulla stoffa, non hanno lasciato tracce sulla pelle. Anche questa però è un’ipotesi perché in effetti nessuno sa dire se al momento del rinvenimento la ragazza portasse al collo tale fazzoletto che invece al cimitero le è stato rinvenuto in tasca. Altra ipotesi è che la ragazza sia stata asfissiata dalla mano dell’assassino scesa a turarle la bocca per non farla gridare, e inavvertitamente o volontariamente calata anche sul naso provocando la morte della fanciulla per asfissia. Gli abiti in ordine della ragazza e l’assenza assoluta di tracce di lotta sul luogo del delitto starebbero a dimostrare che Lucia si recò sul posto volontariamente, e che colui o coloro che le si accompagnavano lo facevano col suo assenso. Gente, quindi, perfettamente conosciuta dalla vittima? Si può pensare che la ragazza sia andata all’appuntamento di uno spasimante il quale ad un dato momento volle andare oltre il segno del consentito e la ragazza deve aver minacciato di gridare, o addirittura deve aver preso a gridare. Questo deve aver fatto perdere la testa all’accompagnatore che cercò di zittirla con la mano o col fazzoletto da collo. C’è chi suppone che l’accompagnatore della ragazza fosse un uomo sposato, e che proprio tale sua condizione lo avesse spinto ad eliminare la fanciulla nel momento in cui lei minacciò di svelare l’intenzione di violentarla. Quanto al coltello rinvenuto per terra è chiaro che esso o fu smarrito casualmente dall’assassino o di esso egli si servì, benché chiuso, per minacciare la vittima. Ora il coltello è rimasto l’unica debole traccia in mano alla polizia.

 

                                                  

      

            La perizia necroscopica oltre ad appurare che la ragazza era integra, ha potuto accertare che ella è morta circa trentasei ore prima del rinvenimento del suo cadavere. Resta da stabilire dove e con chi sia stata nel periodo di tempo intercorso tra la sua scomparsa da casa e la sua morte. A ciò si aggiunga quest’altro particolare: una mano della ragazza aveva le dita aperte e i muscoli contratti, era insomma artigliata, come nel tentativo di afferrare qualcosa cui appigliarsi, o di graffiare chi stava per ucciderla. Se la ragazza fosse caduta nel luogo dove è stata rinvenuta, cioè in aperta campagna dove la terra era molle e fangosa per la pioggia, le sue dita al contatto con la terra bagnata avrebbero dovuto sporcarsi. Poiché questo non è avvenuto, e rifacendosi all’interrogativo dove e con chi ha trascorso un giorno e mezzo prima di essere uccisa, possiamo avanzare l’ipotesi che la ragazza non sia stata assassinata sul luogo dove è stato rinvenuto il suo cadavere, ma sia stata trasportata dall’assassino quando era già cadavere. Il mistero insomma si infittisce. Sempre nuovi elementi vengono a galla, ma non fanno che rendere ancora più difficili le indagini.

             Dopo le indagini iniziali, in seguito al rinvenimento del corpo della povera Lucia, cosa fu fatto per appurare la verità su quel nefando delitto? Immagino nulla. I tanti fermati a caso, dopo i due iniziali, nulla ebbero a riferire in merito, nessun indizio serio venne alla luce, nessun colpevole. Nessuno aveva visto, nessuno aveva sentito, nulla era successo come nei peggiori delitti di mafia. Eppure la ragazza, uscita di casa alla ricerca del fratellino, come aveva riferito la mamma, non s’era potuta allontanare più di tanto dalla sua abitazione, avrebbe potuto svoltare a sinistra verso via Roma o verso la via Vittoria che porta alle vecchie case popolari. Poteva avere un appuntamento "amoroso" con qualche amico, come riferirono le cronache, ed essere andata a casa di questo? Non credo sia plausibile data l’ora e l’incarico che aveva avuto dalla mamma, e soprattutto da come viene descritta: una ragazzina "molto ingenua, innocente, schietta". Non resta altra ipotesi che nel breve tragitto sia stata avvicinata da qualcuno ed attirata "ingenuamente" in trappola, portata in casa oppure verso la campagna, distante poche centinaia di metri. Io propendo per la prima ipotesi perché, se fosse stata portata subito in campagna, l’omicida l’avrebbe abbandonata sul posto. Invece, da come risulta, è stata portata nel casolare da morta. Al pomeriggio del sabato, infatti, c’era stato un temporale, e se Lucia si fosse trovata distesa nel casolare senza un tetto, sarebbe stata trovata bagnata. Quindi l’omicida ha provveduto a disfarsi del cadavere tra il sabato notte e la domenica mattina; alle otto e trenta il fratello ed il cognato scoprirono il corpo. Viene da chiedersi però se quel casolare fosse stato controllato nei giorni successivi alla scomparsa. Purtroppo tutto l’incartamento delle indagini, dopo ben 63 anni, è stato distrutto o scomparso. I carabinieri di Montedoro dicono d’averlo consegnato in procura a Caltanissetta, mentre a questa nulla risulta. In tempi moderni sarebbero intervenuti i RIS, avrebbero prelevato tracce di DNA, avrebbero fotografato la scena del crimine nei minimi particolari. Ma eravamo nel 1955 con forze dell’ordine poco competenti e con attrezzature inefficienti. E se "dall’alto" fosse arrivata una confidenza a lasciar perdere, le indagini potevano concludersi immediatamente con un nulla di fatto. Come spesso era successo per altri gravi fatti. Con ciò non voglio adombrare nessun dubbio sull’onestà e sulla buona fede dei nostri carabinieri, che spesso giungevano dal nord, ignari dei luoghi e della mentalità della gente del posto, e che operavano in condizioni disagiate.

           Io tredicenne, e quindi suo coetaneo, all’epoca non ebbi contezza del fatto perché mi trovavo a Randazzo, in collegio dai Salesiani, ma ho sempre saputo ed avuto pena e compassione per la povera ragazza. Ho voluto riepilogare questa storia affinché, data l’evoluzione, la distrazione e la volatilità delle notizie di questi tempi frenetici, soprattutto presso i giovani, il suo ricordo non cada nell’oblio, e serva da monito a tutti.

            Ai parenti della povera Lucia può lenire il dolore solo la consolazione che la ragazza non sia stata violata dal sadico omicida, perché è stata lei ad opporsi ed a non dare modo allo sciagurato di farlo. Tutto il paese è rimasto scosso da quel triste evento, e conserva ancora memoria del fatto. Sulla sua tomba infatti, entrando nel cimitero appena a sinistra, mani pietose depongono sempre un fiore, a memoria della povera ed incolpevole Lucia.

                                     

 

 

 

           I RAGAZZI DI MONTE OTTAVIO

 

 

      
                                   Aprile 1955                                                    Cugini in campagna          

                                                                

                  Fabrizio legge il fumetto Miao-Miao

                                

 

 

                                              
                                                             A Lillo

Anche se da lontano, da Milano, vorrei indirizzare due parole di commiato a Lillo, anche lui sempre lontano dalla sua Sicilia, in Piemonte. Non parole d’elogio funebre, ma in ricordo dei bei momenti passati insieme, dell’affetto che ci legava da sempre non solo per parentela ma per simpatia e comunanza di sentire le cose di questo mondo. Mai triste, mai scontroso, ma sempre allegro e pronto alla battuta si parlasse di politica, di letteratura, di poesia, o di vecchi ricordi dei nostri antenati che prendevamo in giro per il loro strano modo d’essere, per la loro meticolosità, per fatti e fatterelli che ci facevano sorridere. Fatti per noi risibili e di poco conto, ma che per loro assumevano una gravità indescrivibile.

Ricordavamo spesso per telefono le battute di caccia in zone impervie sotto un sole cocente, le avventure col nonno Federico sulla torre campanaria di questa Chiesa, proprio qui sulle nostre teste, ufficialmente per aiutarlo a tirare su le "mazzare" dell’orologio, ma col segreto d’inseguire le colombe sui tetti. E poi le telefonate da Milano a Torino e viceversa, la compilazione delle schedine, quel filo del telefono anni cinquanta, ancora lì appeso alla parete, che spesso faceva le bizze e troncava la comunicazione. Lillo era così, ordinato nel suo disordine, con tanti amici che quotidianamente andavano a trovarlo, vecchi colleghi di quella scuola, a due passi dalla sua casa, che lo vide insegnare per lunghi anni. Casa che ho rivisto in questi giorni per l’ultima volta, con la chitarra appesa al solito posto, montagne di libri sparsi dappertutto, il cortile ricco di piante che lo ispiravano, il tavolo intorno al quale gratis impartiva lezioni ad alunni ed amici, faceva ricerca di strane parole, vecchi aneddoti e racconti.

Che brutto scherzo hai fatto a tutti noi! Così all’improvviso, senza un saluto, senza un piccolo avvertimento di una definitiva partenza, con tutti i progetti che ancora avevamo in essere. Speriamo di rimediare noi oggi, standoti vicino per l’ultimo saluto, ma non con la tristezza di chi compiange un amico, anche se i nostri occhi sono umidi di commozione. Di certo tu, laico da sempre, anche se dalle larghe vedute, avrai superato l’imbarazzo di queste circostanze, e starai sorridendo alle tue nipoti che volevi bene oltre ogni cosa, ai tuoi parenti, ai tuoi amici.

Che, tutti insieme, ti ricorderanno sempre.

Tuo cugino Federico da Milano

 

                                                                                                                                                                                                               

      COMPAGNI DI LICEO

Lo sguardo laggiù, verso il liceo,
mi rivedo tra i banchi ad ascoltare
di storia lezioni e di latino.

Vaganti i pensieri, onde sul mare,
sentivo il declamar di poesie,
di filosofi antichi astruse idee,
di protoni e di ioni eterno agone.

Com’eran bravi i miei compagni a dire,
a recitar di grandi autori i versi,
i passi a commentar con foga e ardore!
E come un ladro teme d’esser scoperto
e contro il muro piatto e immobil posa,
tratto il respiro e manco ciglio batte,
sì me ne stavo sprofondato e assorto
col banco fuso, come è d’ape cera.
Inesorabile il dito già si posava
su quel registro, e lento giù giù scendeva:
passata la emme oh che respiro,
tornavo a vita pel periglio andato.
Ma uno scatto all’insù del dito ostile
dritto puntava con crudele ardire
su quel fantasma ancor tremante: io!

Belli quegli anni, però, da liceale,
tra compagni fidati, amici veri,
quanti dolci pensieri, quanto desio
di ritornare in su quei banchi assiso!
Ne son passati lustri, amici miei,
in un baleno volati or che ci penso,
e a retro gli occhi ed il pensiero volgo.

Adesso un po’ acciaccati, un po’ pensosi
per i fatti di vita e gli anni avanti
ci riuniamo a meditar sui fatti,
di insegnanti severi o stralunati,
di compagni a migliore vita andati.
Siam quelli che furon prima di noi,
insegnanti, ingegneri od avvocati,
dente di ruota in un perenne giro,
di mulino una ruota ch’acqua tira,
ruota di biga in gran sfrenata corsa.

Ma ci arride e ci culla e ci conforta
dei figli l'arco de l'ardente affetto,
dei nipoti che un dì del chiostro antico
varcheranno l’androne lieti e festosi:
colmi di speme come allora i nonni.

                                   Federico

 

                              Ho ricevuto da NICOLO' FALCI una poesia: 
                                    LU CINAMU DI LA ZZA' NARDA

 Mi sono permesso un piccolo commento.

Bella e piacevole poesia di Nicolò che ci fa tornare agli anni della giovinezza, in quel paese sempre amato e ricordato, soprattutto da chi da tanto tempo se ne è allontanato. Rievoca fatti e personaggi curiosi e caratteristici dell’epoca, la maggior parte emigrati in terre lontane in cerca di fortuna, e che di tanto in tanto fanno ritorno per rivedere parenti ed amici. L’oggetto principale è il cinema, quel locale misterioso che attraeva grandi e piccoli per un’ora di svago, per vedere la fine degli indiani, sempre cattivi e perdenti, o le avventure di Tarzan nella giungla più misteriosa. Ma le vere avventure le correvano gli spettatori in quel locale malandato, vuoi per la pioggia che il tetto malsano non riusciva a trattenere a dovere, vuoi per le "poltrone" di legno o di ferro che spesso graffiavano i malcapitati o laceravano i vestiti. Non mancavano i battimani quando il cattivo veniva punito a dovere, non venivano lesinati fischi ed improperi quando la pellicola vetusta, chissà quante volte usata, si spezzava e la luce prendeva il sopravvento alla scena, magari nel punto più emozionante del racconto. Poi c’era il venditore di "simenza" e caramelle che girava tra gli spettatori durante la proiezione ed a parolacce veniva invitato a ritirarsi al suo posto.
Spesso la stessa pellicola veniva proiettata nel paese vicino, ed allora l’incaricato, tra un tempo e l’altro, faceva una corsa per scambiare la pizza del primo col secondo tempo, o viceversa: tutto per risparmiare il noleggio del film. A volte il ritardo era insopportabile e dava adito a schiamazzi.

Storie e ricordi d’altri tempi, quando il cinema dava emozioni a non finire, e nell’attesa spasmodica si visionava e commentava in piazza il cartellone con le immagini salienti del film.

Adesso nell’era digitale tutto è cambiato, il film si vede in tv nel salotto di casa o nei pochi cinema rimasti attivi comodamente seduti su vere poltrone, con effetti spettacolari, in un silenzio assordante, quando gli altoparlanti non sparano frequenze a tutto volume, in assenza di fumo, ognuno al suo posto rigorosamente assegnato dal computer.

Devo confessare che qualche volta mi torna la nostalgia del cinema "di la ‘zza Narda", di quel locale da "nuovo cinema paradiso", dei battimani e dei commenti spesso indecenti come avveniva in occasione di una scena amorosa. Allora c’era vera partecipazione all’azione, si scambiavano col vicino consensi o disapprovazione su quanto succedeva nella scena, a volte si piangeva, spesso s’imprecava, si era come in una grande famiglia. Adesso prevale la solitudine, il commento te lo tieni in corpo, l’indifferenza ha il sopravvento su fatti scontati in partenza. Manca la partecipazione, non c’è più il pathos coinvolgente di quando portavamo i calzoncini corti.
Federico
                                                        

LU CINAMU DI LA ZZA’ NARDA

Fin’a la fini di l’anni cinquanta
mmiazz’a la chiazza un cinamu c’era,
e ci abbadava assìami a li figli
la Zza Narduzza di la Gentura.

Picca custava ddru passatìampu:
pi dù pilliculi sulu un biglìattu.
Li primi fili cu poltroncini
e doppu l’antri cu seggi e panchini.

Ni ci assittavamu, scomodamenti,
ma ni giravamu tuttu lu munnu,
ed arrivavamu ni lu far uest
‘n’capu un cavaddru cu Barba di Capra.

Jivamu ‘n mari cu ùarbi pirata,
cu n’equipaggiu d’avvinazzati,
dannu la caccia a li bastimìanti
di Sò Maistà lu re di la Spagna.

C’eranu Tarzan, cu Gen e la scimia,
‘ncapu li lìani ‘mpinnuliàti,
addifinnuti d’oranghi e liùna
contru li tinti espluratura.

Sansuni ed Erculi belli furzusi,
ca si facivanu guerra ‘ntra d’iddri,
blocchi di marmaru jittannu ‘n terra
comu si fussiru fogli di carta.

Ni ci ammiscavamu cu ddri figuri:
eramu nantri surdati ed eroi
e ci cupiavamu li trainìaddri
pi la battaglia di Serra e Pinninu.

Ma la pillicula vecchia e stravecchia
nun c’era vota ca nun si lassava:
e li carusi, forza! a friscari,
ca si sintivanu di li cannola.
………………….….
………………….….

Ma doppu vinni la televisioni
e cu putiva si l’accattava.
E di du cinami a Muntidoru
ci n’era unu c’assupirchiava.

Nun era cosa di cuntinuari! …
Allura Narda piglià li so figli
e si nni jì ddr’abbanna lu mari,
unni currivanu indiani e cau boi.

Certu, la lingua nun era la stessa:
larghi stratuna chiamavano "stritti".
E pua d’armari nun ni capivanu
si li cavaddri chiamavanu "ursi".

Jìaru straniati ni n’antru munnu,
avìannu ‘n’testa a Muntidoru.
Ci n’eranu tanti di paisana
E chissa cosa li cunurtava:

li frati Mìannula, Viciu Farruggia,
cu Ristuccìaddru e li Campanella,
tanti Galanti (frati e cuscini),
Turiddru ed Ancilu di la Gentura,

Piatru Marranca di lu tabbacchinu
(lu vidu ancora ca vinni trinciatu)
Calogerinu, valenti firraru
(ca martiddrìa ‘ncapu la ‘ncunia).
……………………..
……………………..

Li vidu assìami… Chi stannu facìannu?
stannu talìannu a Stallio e Ollio
comu si fussiru in Piazz’Umbertu
quannu avìanu ancora vint’anni.

Ma mentri arridinu e sunnu cuntenti
na lacrimuzza di l’ùacchi ci scinni:
lu cori d’iddri è ddr’abbanna lu mari
unni c’è ancora n’amicu, un parenti.

Nicolò Falci

 

 



                                         FABRIZIO  ORGANARO

 

                       LE OPERE di AGOSTINO TULUMELLO

 
                                                     Dal 22 al 28 Novembre     

 (Testo di Nino Arrigo)

L’arte di Agostino Tulumello sembra rispondere a due domande essenziali: una di carattere conoscitivo ed una di carattere estetico. E’ un forte impulso conoscitivo, infatti, che lo porta ad indagare lo spazio. Uno spazio astratto quello di Tulumello, dove domina ancora una geometria di tipo razionale ed euclideo, scandita da triangoli e trapezi che si materializzano su assi cartesiani, ma che nascondono – in filigrana – una visione reticolare e complessa, quasi frattale. E lo spazio si fa, così, labirinto, come la piantina in scala di una metropoli, dove le fugaci apparizioni di colore ci ricordano la ragione decorativa del gesto. Una ragione che, chi avvicina lo sguardo, perde di vista a favore di quella conoscitiva, che ci rapisce in un viaggio nel tempo, il "tempo di sempre", agostinianamente "distensio animae". Una non realtà. Quella di Tulumello è una poetica dell’essenza, austera e severa. Un viaggio nel "noumeno", al di là delle apparenze fenomeniche, dove il "reale non è vero, si accontenta di essere" (come affermava Atlan) e, come in Matrix, il mondo ci è stato messo davanti agli occhi per nasconderci la verità. Quella verità che Tulumello indaga con pazienza e ostinazione, come tutti i ricercatori. Perché, come affermava Pirandello nel romanzo che uccide il naturalismo ("I quaderni di serafino Gubbio operatore"), "c’è un oltre nelle cose". Anche Tulumello, alla maniera di Serafino Gubbio, di fronte allo scacco della rappresentazione, incapace – ormai – di fotografare un perfetto dal vero, preferisce indagare il meccanismo di funzionamento della macchina da presa. Preferisce conoscere la sua conoscenza. Altrove, però, il suo segno si fa "primitivo", pre-logico, supportato da un forte impulso decorativo, quasi un "horror vacui". La sua poetica dell’essenza preferisce la scrittura (archi-scrittura) alla voce, derridianamente. L’essenza divenendo, così, "differenza". Molteplicità, caleidoscopio. Ora, però, se assumiamo (vichianamente) che la prima forma di conoscenza della realtà possa essere di carattere estetico, la domanda cui risponde Tulumello rimane una. E di carattere estetico, dunque. E la risposta è declinata sempre all’insegna dell’eleganza e della classicità, nonostante la forte spinta avanguardistica. Anche nella sua dimensione "pop", infatti, Tulumello rimane un esteta austero e severo. Ostinato ricercatore dell’essenza.

An inflexible researcher of the essence.

Agostino Tulumello’s art seems to answer two essential questions: a cognitive and an aesthetic one.
Indeed, a strong cognitive effort makes him investigate the space. Tulumello’s space is an abstract one where a rational and Euclidian geometry still reigns. It is made up of triangles and trapezoids which materialize on Cartesian axes but which hide – in backlight – a webbed and complex vision, nearly a fractal one. And the space becomes a labyrinth, like a scale drawing map of a metropolis, where the fleeting appearances of color remind the decorative meaning of his painting. But this feeling is immediately lost in favor of a cognitive dimension which brings in a special travel in time. It is an "endless time", or a "distensio animae" – to quote Saint Augustine. It is a "non-reality".

Tulumello’s poetics is an essential, stern and severe one. It is a journey to the "noumenon", beyond the phenomenal appearances, where "the real is not real, it is just pleased to be" (quoting Atlan). Moreover, as with Matrix, because of the world before us we do not see the truth. Tulumello is searching for such a truth; he looks for it with patience and in a persistent way as all the researchers do. That’s because, - as Pirandello wrote in I quaderni di serafino Gubbio operatore (a novel which kills the naturalism) – "there is ‘a beyond’ in things". As Serafino Gubbio, Tulumello takes into account the defeat of representation and being unable to photograph – by now – a "perfect from the true", he prefers to investigate how the camera works. He prefers to know his knowledge.

Yet, somewhere else, his painting becomes primitive, pre-logical, held by a strong decorative urge, similar to a "horror vacui". His essential poetics prefers writing (arche-writing) to the presence of "form-voice", as Derrida did. In such a way, essence becomes "difference".

But quoting Vico and assuming that the very first experience of reality is an aesthetic one, Tulumello answers just one question, the aesthetic one. And the answer is always refined and classic despite the strong avant-gardian urge.

In fact, even in his "pop" dimension Tulumello remains a severe aesthete. An inflexible researcher of the essence.

           

            


     









                                                                                                                                                            

                                        NON APPARTENGO PIU’

Non appartengo più a quella collina dove sono nato,
a quelle vie polverose che mi videro correre e giocare,
a quella piazza immensa che mi vide passeggiare,
a quella chiesa che mi vide pregare.
Non appartengo più alle campagne gialle di grano,
ai grigi maggesi appena arati e concimati,
all’odore amaro dei mandorli in fiore,
alle colline luccicanti di gesso a scaglie.
Neppure il respiro del giallo zolfo
che calpestavo e che fu pane e vita,
non le grotte, non gli anfratti,
non le memorabili battute di caccia.
Nulla, nulla più mi appartiene.
Alla grande Milano ormai appartengo:
ai suoi viali alberati,
al magnifico Duomo dalle mille guglie,
ai canali sempre colmi d’acqua,
ai grandi navigli sempre pregni di vita,
alle alte e moderne torri che sfidano il cielo,
alle storiche porte che grondano sangue
ma che fecero argine a tanti feroci nemici,
ai negozi, ai mercati, al glorioso castello,
alla grande Milano, insomma.
Come ti cambia il tempo!
Lontano dagli occhi, lontano dal ……cuore!
Eh, no, amico, non è così.
Il mio cuore batte a suo modo,
sento il suo ritmo e lo seguo.
I miei occhi vedono Milano grande e bella,
ma il mio cuore è rimasto là, su quella dolce collina,
su quelle vie, su quella piazza,
sull’aia colma di spighe pigiate dai muli
e tra la paglia il tenero generoso grano,
sulle scoscese trazzere che grondano ancora sudore,
sulle lucenti scaglie di gesso e zolfo.
Il mio cuore respira ancora quell’aria calda e secca,
batte per i disastri nella miniera,
per l’infame ed omicida lupara,
per la miseria, la fame, la sete.
Batte forte al ricordo di quei fiori di mandorlo
ora bianchi, ora appena rosati,
per il campanile di quella chiesa che,
bambino, scortato dal nonno,
mi vide salire i cento gradini
tra rimbrotti, brontolii e dolci carezze.
Solo lui, il mio cuore, sa a chi appartengo.

                                                      Federico   

 

 

                                                                                                                                                 MILOCCA-CHAPMAN



                                                                                                                                 LE OPERE DI CICCIO LICATA

 


                                
                                       Castiddruzzu di RACALMUTO

           

Jammu a lu Castiddruzzu

Facìa friscu ddra matina ed era prestu
e tanti stiddri si vìdìanu in cìalu,
anchi si un po’ di neglia già acchianava
di li vaddruna ca a la ciumi vannu.

"Unni jammu, voscenza, stamatina",
dissi Lisciànniru ca cu l’autru amicu,
armati di scupetta e cartuccera,
scurtavanu Luisa gran signura.

Quannu passaru davanti a la Madonna,
e fìciru un signu ca parìa ‘nu vasu,
finarmenti parlà donna Luisa,
ca finu addura si ni stava muta.

"Jammu a Racarmutu, si vuliti,
pi vidiri ‘u Castìaddru, ca si dici
essiri granni e tanta storia havi
ca Muntidoru mancu po’ sapiri.

Nun putivanu ca essiri d’accordu
ddri du’ campìari ca facìanu scorta.
E tirannu li cuddrani a li jumenti
si diriggìaru versu ddu paìsi.

Caminannu pi trazzeri e pi viola
passaru la pirrera tutta gialla.
Doppu la strata era cchiù varia
tra arbuli di ulivi, viti e ficu.

A Racarmutu c’era ‘na funtana
unni li fimmini anchivanu quartari,
lavavanu li robbi intra ‘na vasca,
e tanti crapi di culuri biancu.

Pariva sulitariu e silinziusu ddru paìsi;
ma quannu giraru di ‘na chiazza granni
improvvisu si vitti un gran castìaddru
cu li turriuna ca facìanu scantu.

Lisciànniru ca canusciva un gran parrinu
vìacchiu ma di lu munnu sapituri,
di cursa lu mannà a chiamari
e cci spiegà ogni cosa a la "signura".

"Ncapu lu munti Castiddruzzu
cchiù anticu ancora c’è un gran castìaddru,
cu un panurama ca nun lassa jiàtu:
lu Mungibellu si vidi e puri ‘u mari".

Camina ca ti camina pi trazzeri
e pi viola, di ciuri chini a tutti i lati,
a mazziùrnu arrivaru a lu turriuni
l’ùacchi sgranati pi tanta meraviglia.

A orienti l’Etna si vidiva, china di nivi,
di Sicilia li chiani e li muntagni,
a sud c’era lu mari, c’eranu varchi,
c’era Girgenti e tanti paisuzzi.

Ah chi spittaculi signuri, chi biddrizza!
C’era un viali di sataredda chinu,
e pùa rosi e viole e rosmarinu,
e ‘na chisuzza pi jìri a prigari.

Donna Luisa si misi a fantasiari,
vidiva fantasmi tra li spessi mura,
vidiva pirati acchianari di lu mari,
abbinturi sunnava, e sciarri e spati.

Lisciànniru taliava a destra e a manca
e circava ‘na via pi scappari
si quarchi saracinu fussi ammucciatu
e tintassi ‘n’assartu a li cumpari.


A questo punto i pensieri di Luisa sembravano riflettersi
in quelli del dantesco Alessandro, lingue e pensieri
andarono in confusione, su quella piazza sentivano
idiomi disparati, dal francese all’inglese, dal normanno
al greco, al latino, all’arabo, al siciliano, al turco, allo spagnolo.
Tutti insieme, in una confusione totale.
Alessandro immaginava chissà quali e quante battaglie
si fossero svolte su quella piazza d’arme,
quanti intrighi, omicidi, quanto sangue avesse bagnato
quelle pietre e quel selciato che portavano nelle stanze
più segrete del castello, quanti cavalli e quanti cavalieri
si erano sfidati all’ultimo assalto.
La confusione fu totale. Alessandro afferrò il polso di Luisa
e lo strinse con forza.
"Ma che fai, Alessandro, mi fai male! Hai bevuto soltanto
un bicchiere di vino", fu il lamento che emise Luisa, mentre
questi farneticando andava dicendo:
"Bianca, Bianca, dove sei?".
Lo strattone di Luisa lo fece tornare alla realtà.
"Mi perdoni, voscenza, mi perdoni!" esclamò Alessandro,
intanto che il custode del castello depositava sul tavolo
di pietra, intorno al quale si erano accomodati per il desinare,
alcuni grappoli d’uva ed osservava la scena
tra l’incredulo ed il meravigliato.
"Ma chi è questa Bianca che stai invocando",
chiese Luisa al suo campiere che finalmente sembrava
essere tornato in sé.
"Stavo quasi sognando, disse, e vedevo Bianca di Navarra
correre su questo piazzale, inseguita dal suo spasimante.
Ah! Bianca, la viceregina di Sicilia, contesa dai caporioni
di tutta l’Isola, bellissima, desiderata e corteggiata.
Ah! quanto avrei voluto conoscere questa avvenente
vedova ventenne! Fu cercata da tanti, dal Moncada al Peralta,
dal Chiaramonte al Cabrera. Ma fu quest’ultimo che
impazziva per la giovane regina, ammaliato dalla sua bellezza,
dalla sua sensualità e dai suoi tesori, e la inseguì per tutta l’Isola.
Questa si rifugiò nel castello di Chiaramonte e si sentiva al sicuro,
quando nottetempo giunse il Cabrera irrompendo nella sua stanza.
Ma questa fece in tempo a scappare lasciando lo spasimante
con tre palmi di naso. Allora il Cabrera, disperato, svestite le armi,
si tuffò sulla tiepida piuma del suo letto ancora caldo esclamando.
"Se mi sfugge la pernice, qui tengo il suo nido!",
annasando di qua e di là, inebriandosi di quella voluttà,
come il cane da caccia va fiutando il covo della sua preda".
"Ma che storia!" disse Luisa esterrefatta, "una storia degna
di questa bella Sicilia, di questo posto incantato, di questo panorama
mozzafiato, degli effluvi di questi alberi e fiori!".
"Questo è un luogo veramente incantevole, e solo delle
persone molto intelligenti avrebbero potuto immaginarlo e realizzarlo",
sentenziò Alessandro.
Saliti sui rispettivi cavalli, malvolentieri imboccarono la via del ritorno,
muti e pensierosi.
Luisa pensava allo spettacolo offerto da quel luogo incantato,
e meditava la storia che il dantesco Alessandro era riuscito a
raccontare con l’acume e la perizia che ben gli riconosceva.



A BIANCA di NAVARRA

Libidinoso,
vecchio bavoso impudico,
Cabrera,
scorda la Bianca regina!

Pernice dorata di Sicilia,
accelera
il fremito d'ali
ché il corvo è vicino!

Il porco,
immondo fetido furetto,
ha annusato il tuo caldo nido,
e già segue l'odorosa scia
dei tuoi passi regali.

Prepara il fulmine,
Giove,
se toccare oserà la giovane
appetitosa fanciulla di Navarra.

Fiore,
inebriante profumo
di mandorlo amaro isolano,
corri,
ché la prua sicura è già in porto!

            

            

                                                                                                                                                 

                                                                                                                           





 


              
MEN OF MONTEDORO    -   IL CLAN DEI MONTEDORESI

       Fa un certo senso rileggere la storia dei Montedoresi emigrati negli Usa. Avevamo sentito raccontare tante storie sui Bufalino e Santo Volpe, soprattutto. Gente che tornava in paese con le tasche piene di dollari e che faceva beneficenza. 
       Rileggendo questa ricerca giornalistica si capisce la vera natura dell’arricchimento, dovuto allo sfruttamento di tanti lavoratori nelle miniere di carbone, molti dei quali, anche Montedoresi, trovarono la morte nelle viscere nere di quelle terre. 
       L’articolo racconta le vicende dei tre principali personaggi coinvolti nella malavita organizzata: Rosario Bufalino, Santo Volpe e Stefano La Torre. (Quest’ultimo non ha un cognome Montedorese, ma era figlio di una donna di Montedoro imparentata con Santo Volpe). 
        I tre sono alla ribalta per tutto il secolo scorso. Prima come piccoli appaltatori nel lavoro di estrazione dell’antracite e gradualmente, divenuti proprietari delle miniere, diversificano i loro interessi in parallelo con quello della Mafia Americana, di cui sono parte integrante: traffico di alcool, armi, droga e bische clandestine diverranno i loro business dopo la fine dell’epopea del carbone. 
        Leggiamo il racconto cosi come viene presentato (anche se vi sono alcuni passaggi non sempre coerenti con fatti già noti in paese) per sapere qualcosa di più su questi nostri paesani che nel bene e soprattutto nel male hanno scritto una pagina sulla storia di Montedoro.
              Calogero Messana

 
               LA MAFIA MONTEDORESE IN AMERICA

                   

                                              
                                                                                                    "CARUSI"  americani
   
                                                                       
                                                              Versione integrale inglese (pdf)

                       



                                                      TRADUZIONE IN ITALIANO A CURA di:
                                                                 CALOGERO MESSANA



                                                        

              

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

                                                                  


 

                                                                                                                                                                                                                                  

                                                                                        


                                                                   FABRIZIO AL MARE

                                                                                      ALCUNE  FOTO

                                                                           

                                                                                              

                                                                                                                                                                                                                             

                                                           
                                   
AGOSTINO TULUMELLO


     Mostra a Roma presso STUDIO ARTE -FUORI CENTRO

                                                                                                                         

                                                              
                                      Poeta  NICOLO' FERLISI
  Poesia:  Elocubrazioni di un medico di pronto socorso
              
Del piacere
              
Per Eleonora

                                                                                                                             


                                         AGOSTINO TULUMELLO

                          INVITO POESIA VISIVA A MATINO


 


   

 Papà a Nisida (NA) aeronautica                               Miniera Gibellini 1954
 (incontra il famoso trasvolatore              da Sx in piedi: Giuseppe Marinaro, Pietro Piccillo,
    De Pinedo)                                                                              Giovanni Morreale, zzi' Simuni Randazzo,
                                                                          da Sx seduti:   Guarneri, Pietro Messana                             

                                                                                                      

                                                                                                                             



                        NICOLO' FALCI E LA SUA POESIA 
                SULLA "MITICA" CINQUECENTO




                       
          NOTE SULLA CINQUECENTO

 


                   
  IL PRIMO "APPUNTAMENTO"

                              

Fabrizio, 18 mesi, alla cuginetta Sofia: 
             
"Domani facciamo una bella passeggiata al sole!"

 

 
               
              
             
                  MONTEDORO ALTAMENTE MILITARIZZATA

        

                                                                                                                                                                      

                                    Le poesie di  NICOLO' FERLISI
 
 
Mi sono tornati alla mente i momenti passati nelle "botteghe d'arte" di lu zi
Ciccu e Tanu Alfanu, o in quella di lu Zi Ciccinu e Giuvanninu o ancora in
quella di Caluzzu Paci, quando in certe giornate invernali non avendo altre
cose da fare ci si attardava al solo scopo di passare il tempo e si imparava
l'arte delle furbizie ( la velocità di pensiero che doveva prevenire un'eventuale 
presa per il culo). Gli adulti in questo modo saggiavano la perspicacia dei poco 
più che adolescenti traendo da ciò un metro di valutazione che definiva il carattere dell'uomo che sarebbe diventato: da qui ho immaginato la scena che 
ho ambientato in un angolo della nostra piazza.


                                                                                                                          

 

          

       ADDITA LA LUNA





La cerca nel cielo di sera
la testa rivolta all’insù
verso tetti e camini,
pretende compaia al mattino
appena fuori in giardino,
sia limpido il cielo
o incupito da pioggia e grigiore,
continua a implorarla e cercarla
per nulla scorato e abbattuto.

"Luna!", implora, guardando nel cielo
esigendo risposta da me.
"La luna dorme a quest’ora,
è andata a fare la nanna e dopo ritorna".

Ma se la vede, ah! s’illumina tutto,
addita la luna con grande stupore
volgendo lo sguardo alla candida palla;
commossi i suoi occhi
sembran perle che ha bagnate rugiada
in un freddo mattino d’aprile;
le sue guance a sorriso dilatano il volto estasiato,
che sia falce o rotonda,
che risplenda di luce di sera
o che timida appaia al mattino
sopraffatta dal sole nascente
che presto la mette a riposo.
E batte le mani, le allunga a volerla afferrare,
si agita tutto, compiaciuto sorride,
e vorrebbe star lì col nasino all’insù
a svelare l’arcano che in cielo perdura da sempre.

Ha solo quattordici mesi, Fabrizio!

                 Il nonno Federico

 

 

Ultimi aggiornamenti su: BALATAZZA

            La masseria Balatazza nel 1600
            La ferrovia di Montedoro

                                                                                                                                                                                                                                           


   NUOVE POESIE DI NICOLO' FERLISI

                     

 


CONSIGLIA TULUMELLO,  la "nonnina" di Montedoro, 
                           compie 100 anni

 

 


                       Sabato, 23 ottobre, é avvenuta la premiazione del 
                       1^ Concorso Nazionale
Alda Merini - Guido Bertuzzi                           
 presso "La Famiglia Artistica Milanese", Circolo Culturale I Navigli, a Milano, alla presenza delle due figlie della Merini.

 Con grande soddisfazione sono stato selezionato tra i numerosissimi concorrenti che hanno partecipato all'importante manifestazione. Ogni concorrente era abbinato ad un pittore che ha realizzato un quadro, esposto insieme alla poesia collegata.

La manifestazione é stata rallegrata dalla recita di poesie della Merini da parte di Giovanni Nuti, suo cantore, accompagnato da un'orchestra.

                                    

 

 

Quando le persone care se ne vanno le fotografie ci rimandano, assieme al ricordo che resta di loro, a momenti di spensieratezza. Tra le foto di famiglia ho recuperato questa. Si tratta di una schiticchiata nella Putìa di lu zzi Nofriu Guarnieri. Era il 2 Marzo 1957. La data, scritta nel retro della foto da mio papà stesso, potrebbe far pensare che l’occasione fosse stato il  suo 34° compleanno che compiva proprio quel giorno. E il fatto che fosse a capotavola potrebbe confermare questa supposizione. Ma il resto della scritta, oltre a quanto mi raccontava papà, dice che nel gruppo c’era anche parte della maestranza incaricata di montare il famoso forno “Roma” a Gibellini. Tra le persone presenti nella foto c’erano anche racalmutesi.
Si possono riconoscere:
A capotavola: mio padre; a dx, per chi guarda la foto, potrei essere io o mio fratello Gaetano. Dietro mio papà Ustinu Duminucu, Maggiuri. Alla sx, con in braccio l’infante, la moglie di lu zzi Nofriu Guarnieri. L’infante potrebbe essere la nipotina Giuseppina (oggi S.ra Piccillo). Alla sx , per chi guarda la foto, potrebbe esserci un fratello di Caliddru Piccillo, prima di lui un cugino racalmutese di mio papà, Luigi Taverna, prima di questo mio zio Caluzzu Marsala. Alla dx di chi guarda la foto: Diego Galante (?) (potrebbe essere perché erano compari con papà), prima di lui un compaesano di cui mi sfugge il nome, che doveva abitare in Via Garibaldi/Via Alighieri (Randazzo?).

Nicolò Falci

 Nota: le vicende del "Forno Roma" si possono leggere nel sito:

 
http://www.messana.org/MINIERE-MONTEDORO/le-miniere-di-montedoro.htm

                                                                                

 
                                 FESTA DELL'ALBERO  ANNO 1956
                                         (foto di Calogero Pace)

         

 

          PRESENTAZIONE

AGGIORNAMENTO


  

 

     

La Baronessa Lucrezia De Domizio Durini in visita a Montedoro,
nella casa dell'artista Tulumello Agostino mentre visiona i rotoli dedicati alla nozione Tempo

 


                  DUE NUOVE POESIE IN SICILIANO di
                                  NICOLO' FERLISI

 

 

         MONTEDORO  -  Marzo 1955 -  Festa di fidanzamento

 

                                                                      FABRIZIO AL MARE

        

 

 

Foto della Mostra di Pittura di Vincenzo Ingrascì, Rosa Maria Taffaro e Sebastiana Vitello, in Piazza Europa dal 30 luglio al 5 agosto promossa dalla Pro loco.  Lillo Paruzzo






 

       

       AGLI AMICI POETI

In quel di Montedoro, a luci accese,
stanno gli amici miei a poetare,
a raccontar le glorie del Paese
e tutti i loro versi a recitare.

Scritti in un libro e ai pronipoti dato
stanno tanti ricordi, storie e amori,
in lingua ed in dialetto declinato
per meglio tramandare i propri ardori.

Io me ne sto solingo qui a Milano
all’ombra delle guglie e dei merletti
che adornano il tempio, e parmi strano
lasciar cotanti amici soli soletti.

Se in mano palpita a Milano il cuore
sul Monte Ottavio il mio volando sbatte,
e in quella sala aleggia in queste ore
che attenta ascolta e poi le mani batte.

Vedo la poetessa amica mia,
di onori piena e gloria in ogni dove,
mostrare i suoi bei quadri in poesia,
che tutta l’anima aprono ed il core.

Sento di Falci ogni sua avventura
che a "spirlicchiu" giocava ancor bambino,
e l’altro Nicolò che i mali cura
in lingua ci racconta il suo "becchino".

Di Lina ascolto i suoi versi d’amore
la "follia" ed il "tempo" e "primavera",
e di sua mamma ammiro il grande ardore
raccontar la "vaneddra" sì com’era.

Il nipotino assiso stringe la mano
ed ascolta le mie storie e "La mia terra":
sperando che un bel dì senta il richiamo
del profumo che l’avo in cuor rinserra.

Plauso a Paruzzo che autore è stato
della raccolta, promotore e anello:
sicuri che del tempo ormai passato
andrà orgoglioso in nostro Paesello.


                              Federico Messana

 

 
 
Il pittore montedorese Agostino Tulumello con la Baronessa Lucrezia De Domizio Durini, mecenate dell'arte contemporanea, personaggio interessante,anche nel mondo letterario.

 



                                                                                         FABRIZIO ..........cresce !!

 



                   Foto avuta da Lillo Paruzzo

 


 


                 Il battesimo di FABRIZIO

 

                DEDICA DEL MUSEO DELLE MINIERE ALLO SCRITTORE ANGELO PETIX

Alcune foto scattate in occasione della  dedica  del Museo delle miniere allo scrittore Angelo Petix.  Sono intervenuti il Sindaco Federico Messana  che ha  motivato la scelta , già avvenuta  diversi anni addietro e  che  solo adesso ne vede l'ufficializzazione, la figlia  che ha  ricordato la figura di Petix  con diversi episodi familiari del periodo legato alla Resistenza  nel Cuneese e  l'incontro  con la famiglia della futura moglie. Hanno ricordato la figura del Petix il Prof. Giovanni Milazzo ed il critico letterario Dott. Ferlita, impegnato nella "riscoperta"  di molti autori "minori" del panorama letterario siciliano del dopoguerra.


  


  
           Interessante recensione di Gaspare Agnello  su "La miniera occupata" di Angelo Petix

 

 

 
  Il piccolo "dittatore"

 

                MOSTRA di AGOSTINO TULUMELLO

 


                                                                     
                MARIA SALAMONE declama le sue poesie nel Principato di Monaco


                                      A MONTECARLO LA LINGUA ITALIANA E' REGINA 

Quest’anno, nel Principato di Monaco, l’italianità è stata degnamente celebrata. Ricorreva infatti, ovunque, la "settimana della lingua italiana nel mondo." La manifestazione, giunta alla sua IX edizione, è stata occasione, per le molteplici associazioni presenti sul territorio monegasco, di organizzare differenti attività dedicate all’Italia e alla lingua di Dante, riscuotendo tutte notevoli consensi. 
Ad iniziare dall’Associazione Monaco-Italie che, reduce del successo della bella iniziativa a scopo benefico organizzata a bordo della Silver Sea, partner dell’evento, per raccogliere fondi destinati ad un ambulatorio infantile di S.Gregorio, in provincia dell’Aquila ( raccolti ben 85.000 euro di cui 50.000 provenienti dal governo monegasco) è riuscita ad invitare, nel pomeriggio del lunedi’ 19 ottobre, la poetessa italo-francese Maria Salamone. Declamate diverse poesie scritte ed interpretate dalla stessa Salamone che, di fronte agli studenti delle ultima classe del liceo Albert I di Monaco, non ha nascosto emozioni intense e a volte commuoventi, condividendo cosi’ pensieri e sentimenti scritti con un italiano di esemplare linearità. Un dono, quello della Salamone che poetessa lo è nell’animo ma anche per passione e per mestiere, scegliendo di vivere in rime la sua vita dai ricchi ricordi legati alla sua bella Sicilia, di cui vanta i natali.

 

                                 FOTO D'EPOCA di NICOLO' FALCI 

   

 Nonna Turidda, zza Cuncetta e Peppi Rizzo                        retro della foto

 

                                          LA PREISTORIA DI MONTEDORO 

                                
                       L'ultima "robba" fotografata a PUPIDDU, prima che venisse demolita
                       per costruirvi l'Osservatorio Astronomico (foto Federico Messana).
                       Questo sito é stato abitato sin dalla preistoria. Lo testimoniano le tombe
                       scoperte sul lato orientale del monte, e pochi mesi fa un importante
                       ritrovamento di manufatti variamente lavorati, come mostrano le foto.
                         
                       I resti risalgono all'era del rame e al Neolitico recente, circa 2000  a.c.
                       In particolare la ceramica  dipinta  a  lineee nere su rosso  sono della facies  
                       di Serraferlicchio (Agrigento) , tipica  dell'area  del bacino del Platani. 
                       La posizione del Monte Ottavio è la  più orientale  fra  quelle  finora rinvenute.
 
                       Fra  gli oggetti ritrovati vi è una punta di selce che ho provato ad immaginare 
                       montata  sul manico ed  adoperata  per  intaccare  le pietre di gesso tipiche 
                       della nostra zona.
 
                       La capacita di taglio è notevole e verosimilmente  poteva esser l'attrezzo 
                       per usato scavare le  tombe a  tholos.  

                               
                            

                                                          (Ritrovamento e foto di Calogero Messana)

 

          
  
Link per leggere il testo     originale inglese di
Louise Hamilton Caico

 

                                   MONTEDORO IERI ed OGGI
                         
 
Proponiamo una serie di immagini attuali di Montedoro per confrontarle cogli scatti fatti cento anni addietro da Louise Hamilton
Caico,  presentate nel suo libro "Sicilian ways and days", edito nel 1910. Sarebbe interessante aggiungere anche fotografie antecedenti o posteriori a quelle della Caico, in modo d'avere una visione completa delle modifiche avvenute al panorama cittadino.

                                                                                             info@messana.org

  Fare clic col mouse sulla Chiesa per accedere alle pagine

 

      NUOVE POESIE di  NICOLO' FERLISI

                       
        
- L'urticìaddru di la veniddruzza
             - Etlista sobrio militante
             - Per Grazia-Rosa

 


       MINCHIATE E RISATE  alla siciliana......
   
                                            

                  

 


                                                  (Anche a un picconiere può venire una buona idea......  Luisa Caico)

                                                
 Don Eugenio sui figli ancora piccoli: Lina (la buona), Giulia (la ribelle), Federico (il vivace), Letizia (la pasticiona -castagnara bella)


    Alcuni domicili dei Caico:  Palermo          C.so Pisani
                                                      Palermo          Via Mazzini
                                                      Palermo          Via Isidoro Carini,62
                                                      Palermo          Via Gargallo,4
                                                      Palermo          Via Cassaretti
                                                     Caltanissetta  Grand Hotel "Concordia" - Villa Mazzone  
                                                                                   

   A volte dimenticavano dove si trovavano:
                                                             

 

 
               FABRIZIO   "il pianista" 

 

             Due bellissime foto d'epoca  di  PINA BUCCOLERI

   


     Altare in Via Trovatore  1949                            3^ elementare anno 1952
in occasione del  Corpus Domini 

 


                            

  A TUTTI UN CARISSIMO AUGURIO DI
  
             BUONE FESTE


 


AUGURONI AD
ELISA FALCI, figlia del nostro amico Nicolò,
      che oggi si é laureata in: SCIENZE DEI BENI CULTURALI

                                   

 


                                                           Nuova poesia di Nicolò Falci

                                                       
L'AQUILUNI


La poesia descrive fatti reali. Lo zio di mio papà, Gaetano Alfano, fratello di lu zzì Ciccu (entrambi calzolai) e di mia nonna Calù, per fare divertire noi nipoti (io, Tanino, Alessandro, Pierina, Lillina; Totò era ancora troppo piccolo) ci portava "a li serri" dove facevamo volare un aquilone che lui aveva costruito con carta lucida e canne di bambù. A far da sfondo era il paesaggio con Gibellini e più oltre la collina dietro cui sorge Racalmuto. Tutto giallo, d’estate, se non bruciato. Ma il colore del cielo, che nel tardo pomeriggio (quannu lu suli tanticchia ammansiva) passava dall’azzurro intenso all’arancione, fino al rosso del tramonto resta un’immagine visiva che il tempo non è mai riuscito a cancellare dalla mia memoria e, penso, di quanti hanno assistito, almeno una volta, a quello spettacolo.
Nicolò

                                                               
         La foto del tramonto, vista dalla "serra" di Montedoro è opera del nostro compaesano americano, 
         l’artista fotografo Peter Mantione.
                                        

 


                           Nuova poesia di Nicolò Ferlisi

                         
MADRE AFFRANTA

                  (Le poesie di Nicolò Ferlisi)

 


                                                                            MONTEDORO 
          I RADIOAMATORI ALL’OSSERVATORIO DI MONTE OTTAVIO  


                                                                  

 



  AUGURONI  AI NEO-LAUREATI             PIETRO MESSANA                                   MARTA MESSANA
                                                                    
                                                             
                                                                       "Ingegneria delle telecomunicazioni"             "Scienze della  Comunicazione"

 

                                                         Oggi, 7 ottobre 2009 abbiamo "scoperto" che

                                                
LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI
                                                       e che
                               TUTTI SIAMO SOGGETTI ALLA LEGGE

                                  anche RE, PUPI,NANI e PSICONANI

 


                                     
                        

Oggetto: Un primo successo! Sospesi i lavori per la realizzazione dell'impianto eolico sul Castelluccio!

Il Tar di Palermo ha accolto il ricorso presentato dal Comune di Montedoro avverso la realizzazione dell' impianto eolico sul Castelluccio. Il ricorso è stato motivato dal fatto che, quell’impianto eolico, pur ricadendo nel territorio di Racalmuto, è vicino al centro abitato di Montedoro.
Il sindaco Federico Messana: «Siamo molto soddisfatti perchè  il Tar ha riconosciuto quelle che sono
le nostre ragioni su questa vicenda».
 «Il Tar - ha precisato Messana - nell’accogliere il nostro ricorso, ha fatto rilevare come Montedoro, dati alla
mano, sia un comune a forte vocazione turistica; lo dimostrano le presenze turistiche che ogni
anno si registrano nel nostro paese, ma anche le strutture ricettive che esistono e che stanno nascendo;
insomma - ha ribadito il sindaco - è passato il concetto in base al quale, con la realizzazione
di un impianto eolico con pale alte 150 metri e rumorose quanto mai, la bellezza del paesaggio sarebbe 
venuta meno compromettendo anche la vocazione turistica del territorio».
A questo punto, in attesa del presumibile ricorso al Cga da parte della società costruttrice e
del comune di Racalmuto, le sorti di questa controversa vicenda sembrano pendere dalla
parte del comune di Montedoro. Il quale, contro la realizzazione di tale impianto, promosse una
petizione popolare che fece registrare un’adesione record da parte della sua cittadinanza che si
pronunciò per la quiete e la bellezza del suo paesaggio, piuttosto che per un impianto eolico
ritenuto, oltre che rumoroso ed ingombrante, anche dannoso sul piano dell’impatto ambientale.

CARMELO LOCURTO
(La Sicilia VENERDÌ 25 SETTEMBRE 2009)


  

                                                      


                                              FILM PORNOGRAFICO IN UNA PANETTERIA

 

       Nicolas et Céline refusent que leur boulangerie devienne un point chaud / Photo Laurence Loison

Des films pornographiques ont été tournés dans une boulangerie de Pusignan. Embarrassant pour les nouveaux propriétaires, qui aimeraient une publicité moins... croustillante.

Pusignan : sa place, ses commerces et... ses films X : c'est la mauvaise blague de l'année pour Céline et Nicolas, qui ont repris le 1er avril (!) la boulangerie située sur la place de ce village de 3000 habitants. " Quand ma vendeuse m'a dit que des films pornos avaient été tournés dans la boulangerie et que des DVD circulaient dans le village, j'ai cru à un canular ", raconte Céline. Mais en pianotant sur internet, le jeune couple en reste sur les fesses : il découvre les chaudes aventures de " Lætitia, la boulangère de choc ". C'est un film pornographique tourné, semble-t-il, par des amateurs. Et on reconnaît très bien l'enseigne extérieure de leur boulangerie. " Pas l'intérieur, parce qu'on a tout refait quand on a repris la boutique ", précise Céline. A leur connaissance, deux films de 90 minutes existent, et sont vendus en DVD ou sur internet. Avec comme sous-titre " Une libertine à disposition : il n'en laissera pas une miette ", les films mettent en scène une jeune femme dans toutes les pièces de la boulangerie et dans toutes les positions, avec différents partenaires agités de la baguette. Ils auraient été diffusés sur la chaîne pour adultes " Frissons extrêmes "

La situation prête à sourire, et le jeune couple ne s'en prive pas, mais elle est également très embarrassante pour eux, et leur commerce. " On s'est tout de suite demandé 'Que vont dire nos clients?' Quand on en parle, ça amuse. Mais beaucoup sont choqués. Notre avocat a hurlé de rire, avant de dire qu'on ne pouvait rien faire ", affirment-ils.

L'affaire fait petit à petit le tour du village. Les boulangers ont décidé d'en parler au Progrès quand des gamins de quatorze ans sont rentrés dans la boutique pour demander en ricanant : "C'est ici que vous tournez des pornos?"

"Nous avons questionné quelques commerçants, et ils étaient au courant. Nous voulons faire savoir à tout le monde que nous n'avons rien à voir avec ces films, qui ont été tournés avant notre arrivée ", affirment-ils.
En face, sur le café de la place, Ludo, le patron, sourit : "Quand la boulangère est venue me voir, je n'ai pas voulu l'alarmer, mais ça cause beaucoup. Tout le monde en parle. Les gens en rigolent, mais ça peut choquer les anciens ", affirme-t-il, en lançant à la cantonade sur la terrasse : "Qui connaît le film de la boulangère?" Sur une table un peu plus loin, quatre grands gaillards sourient d'un air entendu. " C'est quand même taré cette histoire!"

  
            Agostino Alfano (Carmelu Burrusu)

 


                               VOCABOLARIO DELLA MINIERA

             vai alla voce "Pirrera" del vocabolario

                                                             


                                                                  LI JITA DI LA MANU

Eranu uri ca stav’assittatu,
ed aspittava d’essiri chiamatu,
intra ddra stanza ca già era un furnu
e mai arrivava lu ma turnu.

Nirbusu dissi allura a lu ‘mpiegatu:
"chi t’a pagari, p’essiri chiamatu,
ca genti c’arrivà doppu di mia
adenzia appi ed è già via via?"

M’arrispunnì ddru serbu di patruni
-ca cci l’avissi datu c’un mastuni-
"Ci sunnu cincu jita ni la manu,
quarcunu è gruassu, quarchi antru è nanu".

La girarchìa mi fici di li jita,
ddra facci ca parìa lumìa purrita,
e forsi si sintì omu putenti
ddru nuddru ch’era ammiscatu a nenti.

Nicolò Falci

 

           A FABRIZIO TANCREDI

       

   La guancia adagiata sulle piccole mani
   riposa Fabrizio, venuto alla luce da giorni.
   Dormiva tranquillo e beato
   nella pancia di mamma,
   ed a nascere manco pensava;
   cullato nei sogni, ascoltava
   del cuore materno il lento sospiro.

   Adesso, è tornato a sognare,
   adagiato nella culla del nonno,
   le braccia distese in un volo infinito,
   gli occhi socchiusi,
   le palpebre in un fremito di ali sospese nel nulla.
   Lontano, lontano dal mondo,
   in un cielo striato da nubi sottili e gentili,
   su valli e colline abitate da fate turchine.

   Nei miei occhi ho il suo viso stampato,
   le mie mani protese alle sue,
   delicate e leggere,
   in una dolce e tenera carezza,
   tra infiniti dolci sguardi amorosi.

   Signore, ondeggia cullato da una timida brezza,
   e noi, mille e più mila soldati,
   onorando il suo nome regale,
   scrutando ogni minima mossa
   ci muoviamo al suo cenno in concerto.

   Continua a sognare, piccolo e tenero cuore:
   presto il mandorlo sarà adornato di candidi fiori
   ed allora giocheremo insieme
.

  

FABRIZIO E LA NACA

                

E sbatti di ccà, e sbatti di ddà,
sta naca ca vola 'mpazziri lu fa,
Fabriziu bìaddru ca sùannu nun voli
ma la so' mamma cci teni di cori.

Tirannu la corda la naca camina
lassànnula iri ritorna ‘nni prima,
tirannula ancora ti pari vulari
ormai è un piaciri vidìrla annacari.

La mamma canta la ninna e la nanna
pi dari sùannu a ‘sta picciula arma,
ma ‘stu Fabriziu si senti annacatu
e ridi di cori, cuntentu e priatu.

Dda musca ca vola vicinu a la naca
'ncuièta e distrai l'armuzza biata,
lu tocca e tiddìca facìannu dispìatto
pùa vola e firrìa vicinu a lu lìattu.

Cuntinua a tirari la corda la mamma
e dici cuntenta cantannu la nanna:
"Addolalò, addolaledda,
lu lupu si mancià la picuredda!".

Lu piccirìddu già dormi e riposa,
chiuiùti l’ùacchi assumiglia a ‘na rosa.
La mamma allura rallenta la cursa:
ferma è la naca, e Fabriziu già russa.







 



                             E' NATO FABRIZIO ROSSI-MESSANA

                                 Il 26 agosto Maria Elena ha dato alla luce un bel bimbo  
                                           Il nome imposto é  FABRIZIO TANCREDI

                                
                                                       
Vedi foto                                                                                              

 


                             IL SOMMACCO SICILIANO

                                      
                                  

 


   CALIDDU E FEDERICU MESSANA facevano gli "ortopedici"!

 Alla pagina 219 del LIBRO MASTRO si legge:

     
1^ aprile 1903  Mammano Angelo -  ci abbiamo riparato la gamba  -  Lire 4

La solita annotazione "misteriosa" da decifrare. Si fosse trattato di una gamba di tavolino, si sarebbero rivolti ai Marranca, esperti falegnami. Di che gamba si tratta, allora?

Indagando abbiamo scoperto che Angelo Mammano (Mastrangilu), il padre di Sebastiano che tutti ricordiamo per il negozio in fondo a Via Cavour, era detto "lu tùartu" (lo storpio): poiché gli mancava una gamba.
Avevano quindi provveduto a riparare i meccanismi dell'articolazione di quella povera gamba di legno!


                                                       

   La Sede Siciliantica di Racalmuto invita a visitare il monte Castelluccio
prima della collocazione dei mostruosi pali eolici che lo deturperanno.
Pertanto Gibillina, il Castelluccio Svevo di Racalmuto , sarà aperto
gratuitamente tutti i sabato e domenica di luglio ed agosto dalle 18 alle 22

   

  

 

 

 

 

                                                         PER  CHI VUOLE INTENDERE...........!
    
         "Assistiamo - lamenta il segretario della Cei - ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un   "Assistiamo - lamenta il segretario della Cei - ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere".
         Secondo monsignor Crociata, con un riferimento che appare in tutta evidenza diretto alle polemiche degli ultimi mesi che hanno coinvolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, "nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall'aver tolto l'innocenza a intere nuove generazioni. E innocenza vuol dire diritto a entrare nella vita con la gradualità che la maturazione umana verso una vita buona richiede senza dover subire e conoscere anzitempo la malizia e la malvagità. Per questa via - osserva il presule - non c'è liberazione, come da qualcuno si va blaterando, ma solo schiavizzazione da cui diventa ancora più difficile emanciparsi".
       In proposito, mons. Crociata ha citato anche quanto detto di recente dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco: 'Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo l'influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in particolare dei più giovani che hanno diritto 
di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di comportamento coerenti".

(da La Repubblica 6 luglio 2009 ) 
                                                                                          Il gaio impenitente
                                                                                          ( click per leggere)
                                                                                     

 

                           Poesia di LUCA DEVIZZI
                              10 anni, 5^ elementare


                
L'INSIPIENZA DELL'UOMO

      Forse un giorno l'uomo scomparirà,
      scomparirà la sua crudeltà e la sua sapienza.

      Le sue opere verranno inghiottite dalla natura
      che non sarà più sottomessa,
      gli animali vivranno in libertà e torneranno selvatici,
      come era all'inizio.

      Forse di quell'animale che aveva comandato il mondo
      non rimarranno che pilastri di cemento
      ed il brutto ricordo dei danni che inflisse alla Terra.     

                                                                    Luca Devizzi

             (Luca é figlio di Cristiano e di Katia Duminuco
              amante dell'archeologia e promettente poeta)

               


     HANNO DISTRUTTO IL "VECCHIO" MONTEDORO

                            

                                       Ciò che restava di "AL-MINZAR", il vecchio "casalinu" a Pupiddu

                                      AL MINZAR E’ MONTEDORO          
                                                     di Calogero Messana


      MONTEDORO - PROGRAMMA PER I FESTEGGIAMENTI DI SAN GIUSEPPE
                             (Lillo Vella - Enzo Zaccaria - Angelo Morreale)

                                                  31 Luglio  -  7 Agosto  2009

                                                  

 

 

                             Calogero Messana lascia l'ENEL dopo 33/anni

               
  

             

 

  
La "Storia vera" Messana-Rovella 
          sul giornale LA SICILIA

        
                             
                                      
Mino Rovella da Lucca, ex compagno d'armi di Nicolò Falci, ci racconta questa "Storia Vera" che ha per protagonisti il farmacista Dott. Francesco Messana ed il dott. Salvatore Rovella, padre di Mino
 
               
           Salvatore Rovella ed il figlio  Mino                      Francesco Messana e Salvatore
 

 

                                                   


          A SOFIA


Era attesa con ansia, Sofia,
da quella birba sorella che é Sara.
Accarezzava il pancione di mamma
e parlava, con aria curiosa e intrigante,
ascoltando i flebili battiti del piccolo cuore.

"La mia sorellina la voglio chiamare Sofia!",
sentenziò sicura e decisa,
sollevando da ambasce e fatiche
chi quel nome doveva cercare.

E venne alla luce un visino
che a piccola fata assomiglia,
di colore vermiglio le gote
la boccuccia un piccolo fiore.

Sofia dorme tranquilla e beata
ignorando gli amici e i parenti;
intorno al capo le mani arcuate
sogna un mondo abitato da fate.

Ogni tanto si sveglia, e gli occhioni
svela a quanti la stanno osservando;
un sorriso pervade il suo volto
poi ritorna tranquilla a sognare.



       


Quando è l’ora di fare la pappa,
puntuale la senti frignare;
corre Sara, che a suo modo la calma,
e le stampa un bacione sul viso.

La solleva come fosse un ranocchio
per portarla al seno di mamma;
timorosa questa accorre in aiuto
ed al petto le stringe amorosa.
                                                             Zio Fé


 

                    Dal "LIBRO MASTRO" di Caliddu e Federico Messana
                                                                                             1891 - 1908


 

          LA TESI di ANTONELLA CUTRONA
                      
                     LA TERRA CHIAMA

           Analisi di una realtà italiana a Lione

                
           
 

 

                                    Calogero Messana

                   VIABILITA' NEL VALLONE

                   
               

 

                               E' nata SOFIA TANZI BALCONE

                           

           Oggi, per la felicità di Sara, é nata la sorellina SOFIA.
Auguri alla mamma Rosangela Marranca, ed ai nonni Gina e Paolo.

 

            CIRCOLO dei MONTEDORESI di MILANO e DINTORNI


 Abbiamo in animo, io, Nicolò e Pippo di "creare" un circolo che possa riunire di tanto in tanto i Montedoresi sparsi per Milano e dintorni.

Negli anni passati sono stati fatti alcuni tentativi (con il.buon Paolo Augello che purtroppo ci ha lasciati),
ma con esiti negativi. Nella speranza di essere più fortunati che nel passato, chiediamo a quanti siano interessati di lasciare il loro nominativo per essere contattati.

Sarebbe bello ed interessante poterci riunire per raccontare la nostre storie, sentire un po' di musica, leggere poesie e racconti che evocano le nostre non dimenticate ed indimenticabili contrade. 

Gli indirizzi e-mail sono in alto in questa pagina.

                                                                                                            Federico

 

 

  

 Storica postazione del napoletano Salvatore Capasso,
venditore di fiori in Piazzale Libia a Milano, da 37 anni


 
     Monumento ai caduti 1915-18, 
       in Via Tiraboschi a Milano

 

    A casa di Nicolò Falci in occasione del passaggio
                     per Milano di Calogero Pace

                             


 

                           LE POESIE DI MARIA SALAMONE

 Articoli apparsi su giornali francesi che testimoniano il grande successo dell'esposizione di poesie a Nizza il 6 marzo presso il centro Culturale di Fabron

                                              

 

                    Maestro: Angelo Mammano
           Classe seconda elementare A.S. 1963/64

                             (foto  Totò Scalia)
 

 

                 LA VITA E LA MORTE
             
di Federico Messana
                  

 

 Mille Agavi,  tradotta in francese dalla poetessa 
                                         MARIA SALAMONE

                                               

 

              

                   UN TRISTE FATTO DI ORDINARIA DEMENZA
                             MINACCE AL SINDACO di MONTEDORO


                     
                                          

 POVIRU MUNTIDORU

Povira terra di lu ma’ paisi,
ca mi cridìa cchiù onestu addivintatu!
Chianci la genti ca si senti offisa,
pi un bruttu fattu ca parìa scurdatu.

Chiancinu l’onesti a Muntidoru,
scatta lu cori pi ‘na vigliaccata
di quarchi babbu ca si senti spertu
ma di babbìa abbunna, chistu è certu.

Manna signali, mancu fussi indianu,
cu’ bammula e cartucci comu richiamu,
pi diri ca si senti lu cchiù forti
e ca ni pensa cìantu, jùarnu e notti.

Malandrinu si senti, chista è la scusa,
forsi porta lu tascu a la mafiusa,
di villutu ‘na giacca, e a testa ‘anta
porta la vara ni la simana santa.

Si fussi omu e non quaquaraquà,
putissi addumannari senza pritisi,
comu fannu l’onesti e sunnu assa’,
senza essiri babbi e mancu offisi.

E’ ura di finirla, sìanti a mìa,
ritorna a la raggiuni e a la mimoria:
ssì vigliaccati un su’ cosa pi ttìa.
Sulu l’onesti stannu intra la storia.

                                                                     Federico

 


  LA COMMOVENTE BIOGRAFIA DI BARACK OBAMA

                                    

 


                             LA  NACA

  

 


Abbiamo il piacere di ospitare, in questo sito, le poesie di un nostro compaesano, il
                                                  Dott. Nicolò Ferlisi

Medico a Montedoro e dintorni, ha conservato nel "solito" cassetto le sue composizioni che ora vengono alla luce grazie alle insistenze di Nicolò. Sono sensazioni personali ed esperienze di vita che consiglio di leggere con attenzione.

                                                            POESIE

 

                 
       Ceci n’est pas une pipe (opera di Magritte)
 

                  
   Ceci n’est pas un president (opera … dei pupi)

                                                                        (Nicolò)

 


      I TRENI  di  PIETRO LAURICELLA

                                      

 


                                      DON  DUVICU  TULUMELLO

                         Poesia di Nicolò Falci sulla giumenta "Pataffia"



                                           


Negli anni trenta del novecento  Don Duvicu Tulumello fu uno dei protagonisti più attivi della vita politica di Montedoro  (vedi).
Furono anni irrequieti poiché all'interno dello stesso partito fascista scoppiarono lotte per la supremazia politica e la gestione del piccolo comune. 
All'epoca la situazione era questa:


Salvatore Messana                           Comandante della  9^ Centuria
Luigi Guarino                                    Segretario Politico
Pappalardo Giosuè, Caico Eugenio, Salvo Giuseppe (capurali)
                                                       Membri Direttorio Fascista di Montedoro
Tulumello Ludovico                            Potestà
Tulumello Ignazio                              (oltraggiò il Guarino per difendere Don Duvicu, e fu     

                                                       condannato a quattro mesi di carcere)
Angelo Fiocchi,
figlio dell'Ing. Giacomo       membro Federale

Scoppiò una lotta feroce tra don Duvicu Tulumello (Podestà) e Luigi Guarino (segretario politico del fascio). Per sedarla dovettero intervenire a più riprese i "capi" da Caltanissetta. 

Tutti contro tutti, al punto che i "federali" si fidavano più dei Carabinieri che della struttura del partito fascista. La piccola Montedoro teneva in scacco l'intera Provincia.   


 


                                           AGOSTINO TULUMELLO

 IL MAESTRO "DISPENSATORE" DI ARMONIA ED ALLEGRIA

                                     

 

                     
  
       MONTEDORO ALTAMENTE MILITARIZZATA

    

 

                           INCONTRO A NIZZA CON   
       
LE POESIE DI MARIA SALAMONE

                 

 


                Località Calvario - 1960

 



                  Montedoro 24 marzo 1933
              Il maestro Salvatore Messana
                       e la sua 4^ classe

                      (leggi didascalia)

 

         La nostra carissima amica     

       
MARINELLA FIUME
       ha pubblicato un suo nuovo libro
 
      
CELESTE  AIDA
                                  
           una storia siciliana

                            
 

 

     Nuova poesia di Nicolò

(Altri tempi quando gli angeli ti svolazzavano intorno e dovevi stare attento a ciò che facevi. Ora, come dice Nicolò con la sua fervida fantasia, gli angeli sono volati via e non hai più timore neanche dei diavoli!). 

             
  PASSA L’ANCILU E ARRIASTI ACCUSSI’

 


 
      Calogero Messana (pipinu)
      Giuseppina Montagna (pipina)
 
 Sciandra Calogera (nonna)
 Montagna Maria    (bisnonna)
 Sciandra Calogero (America)
 

         Messana Federico (nonno)
            Montana Calogera  (nonna)
 

             Spitaleri Giovanni
               Messana Giuseppina

                                                                              Alcune foto storiche

 


           MILLE AGAVI

   Mille agavi vorrei piantare
   sulla "collina della vergogna", a Gaza;
   un'agave per ogni vita spezzata,
   mille per ogni piccolo eroe innocente
   caduto sotto la vile mitraglia.
   Vorrei piantare un'agave
   per ogni pallottola impressa sui muri di casa,
   una per ogni colpo di vigliacco cannone,
   una per ogni gamba spezzata,
   cento, mille per ogni lacrima di terrore
   che ancora bagna i piccoli visi infantili.
   Vorrei piantare un'agave
   per ogni donna disperata,
   per ogni casa abbattuta,
   per ogni pianta divelta con sadico ardore;



   un'agave per ogni padre che ancora
   compone i brandelli dei piccoli figli.
   Non mille croci
   vorrei piantare sulla collina della vergogna,
   ma mille e più mila agavi verdi
   dalle generose radici e dai lunghi pungiglioni,
   a difesa di quella collina
   che ancora alita di morte e vergogna.
   Ma che tutti, presto, potranno additare
   come la collina della speranza.


                                Federico

 

          
          Le poesie di
     MARIA SALAMONE

articolo pubblicato sul periodico "l'Alfiere" di Firenze

   



     L'ITALIANO
    da.... ridere o
    da.... piangere!

 


                Inviata da Pietro Galante, da Buffalo  
(da sinistra)  Calogero Montagna, Giuseppe Mendola, Giovanni Mendola, Pietro Galante, Pietro Marranca, e Angelo Mantione di la ‘zza Narda (venditore di "cannola")


                         (da Lillo Marranca)
                         5^ elementare 1956 


 


I SOGNI DI ISSAH

Ha gli occhi atterriti, il piccolo Issah,
e trema, trema di paura,
cedono le tenere gambe,
un sussulto e cade,
un fucile puntato alla nuca di Assam,
padre di otto piccoli figli.
Guardano in alto gli occhi del piccolo Issah,
caduto sotto un frondoso limone,
e scorge i penduli frutti giallastri e lucenti
oscillare nel vuoto,
sospesi a invisibili fili
tenuti da mano fantasma.

Una volta era un gioco contarli,
una gara coi piccoli amici
felici tra nenie e risate infantili,
saltare sui rami a rincorrere un grillo
che a quel gioco sembrava giocare,
come nonno e irrequieto bambino.

Adesso li vede cadere dal cielo,
li sente con fischio stridente,
uno scoppio, un fragore assordante,
il cielo si oscura di schegge impazzite.
E poi un altro, un altro ancora
più forte del primo,
un rumore di vetri in frantumi,
uno sbattere di porte divelte,
una pioggia di polvere e sassi.
Sobbalza le mani sul volto,
urla, chiede pietà, implora,
il piccolo cuore lo soffoca in gola.

Una lacrima bagna la tenera gota,
mentre un lume a petrolio
rischiara la misera stanza
e la mano gentile che placa
le angosce del piccolo Issah.


 LA COLLINA DELLA VERGOGNA

In trentacinque morirono sulla collina Hai el-Zaitun,
la collina delle olive,
diventata "la collina della vergogna".
La famiglia Samuni viveva su quella collina,
pochi edifici, olivi, anatre, galline
ed una piccola moschea.
Spararono granate contro la casa,
Samuni e suo figlio Ahmed di quattro anni
furono ammazzati con una pallottola in fronte,
a sangue freddo e senza motivo,
innocenti, le mani alzate in segno di resa,
sventolando ritagli di lenzuola bianche.
Poi, ridendo, quei porci, mitragliarono,
uccisero un neonato, diedero fuoco ai materassi,
rubarono soldi ed oggetti d'oro,
lasciando tra il sangue i pochi sopravvissuti feriti,
grondanti sangue e lamenti.
Che vergogna!
Che squallido, volgare e disonorevole esercito!
Resteranno impuniti i crimini sionisti,
sicuramente peggiori di quelli nazisti?















                                   Federico        

   

   LA MORTE DI ISSAH

"Issah! Figlio mio, sei molto giovane,
sei innocente, hai conosciuto la morte dei martiri!
Allah, sia fatta la tua volontà!".
La voce di un padre disperato
alta e forte risuonava nella moschea vuota e cadente,
implorando pace per il suo bimbo,
settimo di otto figli.
Intorno una desolazione di morte,
tutto raso al suolo, un deserto di pietre fumanti,
novella Hiroshima delle bombe sioniste.
"Non piangete, non gridate!
comportatevi con dignità!
Questa è la nostra terra e qui resteremo;
Allah ci mette alla prova
e compenserà le nostre sofferenze",
disse alla moglie ed alle tre figlie superstiti,
dinanzi al corpicino maciullato,
estratto dalla cella frigorifera.
"Le gambe, dove sono le gambe del mio Issah".
Nella cella adiacente, due gambe, una testa, due braccia
attendevano che fossero composte in un corpo.
Non una lacrima dagli occhi
nascosti da feritoie di stoffa,
non un lamento dalle bocche nascoste dal niqab
delle donne di Issah.
Issah, un bimbo di dodici anni,
lineamenti di non comune bellezza,
mitragliato mentre cercava legna da ardere
nel vicino aranceto,
venne avvolto in un bianco sudario
e tumulato nel cimitero di Rafah,
il cimitero dei martiri palestinesi.
Martire della bieca e bestiale violenza sionista.







 


                                                          Dopo il bombardamento sionista a Gaza .....................

 

                E'  GIUSTO?

                   

 

         'A  LIVELLA

           

 

                       COSI' FANNO TUTTI I CRIMINALI .....

           

Prima pregano sui carri armati.....       poi sparano   su   scuole,  moschee, vecchi e bambini inermi   


         PIU' SBRIGATIVO DI UNA CAMERA A GAS !   VERGOGNA!
          

 

            Montedoro - Le "vampe" di Santa Lucia -  li "fanari" e la "cuccìa" 
                                               (foto inviate da Emilio Duminuco) 

          

                             

 


          La musca cavaddina
                  di Nicolò Falci

                        

Bella poesia di Nicolò che si commenta da sola

 

                  Natale a Montedoro
              

“MONTEDORO TRA SCIENZA E TERRITORIO”

ASTRONOMI – ASTROFISICI - ASTROFILI E STUDIOSI DI STORIA, LETTERATURA E SCIENZE NATURALI INSIEME: ALLA SCOPERTA DELLA VOLTA CELESTE E DEI NOSTRI TERRITORI

                                PROGRAMMA

 

                            La mia poesia
      mp3                                      LUNA
                           musicata dal compositore Guido Sgroi
                                     www.guidosgroi.it 
     

 


        Un omaggio alla Sicilia da parte di 
                ARTURO FIORI (Messana)

Un ghiornu ca lu Diu Patri era cuntentu

Lu dutau di tutti li setti elimenti
lu pusau a mari nfaccia a lu livanti,
Sicilia lu chiamaru li genti 
Ma di l’Eterno Patri è lu diamanti.

 

    Le trame dei partiti nel periodo "fascista" a Montedoro

Ci sono molti "personaggi"  conosciuti !

Salvatore Messana                        Comandante della  9^ Centuria
Luigi Guarino                                 Segretario Politico
Pappalardo Giosuè, Caico Eugenio, Salvo Giuseppe (capurali) 
                                                    Membri Direttorio Fascista di Montedoro
Tulumello Ludovico                         Potestà
Tulumello Ignazio                           (oltraggiatore del Segretario Politico)
Angelo Fiocchi,
figlio dell'Ing. Giacomo   membro Federale

Aggiungo anche Amico Gabriele Mariano Giuseppe , nato a Montedoro il 22/11/1889 , figlio di   Giuseppe e Valenti Maria Filomena. Avvocato e Notaio, attivista del Partito Popolare. Fu segretario Comunale a Montedoro fino al 1924 e nel dopoguerra  fu il primo Sindaco di Caltanissetta, meglio conosciuto come Gabriele Amico Valenti :il Comune di Caltanissetta gli ha dedicato un'importante via della Città.

Tutti contro tutti, al punto che i "federali" si fidavano più dei Carabinieri che della struttura del partito fascista. La piccola Montedoro teneva in scacco l'intera Provincia

                                                                                                  

 

  Omaggio alla poetessa MARIA SALAMONE, nostra cara amica (e paesana) 
                     
Maria Salamone mi ha mandato alcune le foto dalla di Città di Pomigliano d'Arco, (NA) dove ha ricevuto il 29 novembre scorso, il premio all'arte e alla cultura (il pulcinella che ha tra le mani). Ha ben finito quest'anno 2008, con una valanga di premi: a Torino, dove ha avuto il 4° premio (targa della regione Piemonte) dalla "Lega Internazionale dei Diritti dell'Uomo". A Roma, dove ha esposto nel museo della chiesa in piazza SS Apostoli, ricevendo il diploma di Laurea Honoris Causa, dall'Accademia Internazionale Città di Roma. A Firenze, dove ha avuto da "Il Fuligno", il secondo premio con la poesia "Un paese chiamato Montedoro) il tema essendo: la mia città. A Città di Pomigliano d'Arco, con il premio già citato.
Mi informa inoltre che esporraà dal 3 al 30 marzo, nell'ambito della primavera dei poeti, presso il centro culturale di Fabron a Nizza.

                              
                             COMPLIMENTI VIVISSIMI!

                
                                                 

 

 Orazio Salvo (alias "Grazziu 'nnummaruni") ha ritirato lu carrùazzu dal museo etnologico Messana, perchè oramai é in suo possesso.
                           Io me ne sono costruito uno: in miniatura!

                        

 

                   A MIA MADRE

Ave, o madre mia,
che guidasti i miei primi passi
e della vita mi indicasti la via.
Come scorre il tempo!
A te vola ognora il mio pensiero;
a te tornano i più bei ricordi
della mia infanzia.
Ora felice per prati di fiori adornati,
ora dolcemente adombrata
per marachelle e dispetti infantili.
Le ore liete ricordo,
i momenti di gioia pregni d'affetto infinito;
ma anche le ombre che la vita riserba,
i tristi presagi, l'atroce e infinito dolore.
A te vola ognora il mio pensiero.

    
                AVE MATER

Ave, mater mea,
tu hortationibus me initium duxisti
atque mihi itinera indicavisti vitae.
Volat eheu aetas!
Tuam semper teneo memoriam,
ad te pulcherrimae vertunt recordationes
pueritiae meae.
Tam saepe laeta per prata
pulchris floribus exornata,
nonnunquam blande anxia
offensiuculis iocoseque puerile.
Laetissimas memini horas,
temporis laeta momenta maximi amoris plena;
etiam quoque plurima vitae adversa,
praesagia atque tristia indicia,
immanem diutinumque dolorem.
Tuam semper, mater, teneo memoriam.

 

           CALIMERO
           di Nicolò Falci

             

 

                             
       9-11-08  compleanno Ludovica
                     

 

  QUANDO IL POTERE (Fascista) a  MONTEDORO 
                           SI "CACAVA" ADDOSSO


                                            

 

        Così canta Pippo "La scala di milli scaluna":  

     Chista è la scala di milli scaluna,
        ............................
     Acchianu novi e baiu a pigliu deci,
     malanni a ccu travaglia a la Pirnici.

 

 Ma cos'era veramente la "Pirnici"?

                       

 


 

    Ricordate i GELSI?
 
                  e
  il Brodo di Giuggiole?

 

                      MINIERE di MONTEDORO

                                        

                   L'Ing. Fiochhi e "li stirratura 
                  di Caliddu e Federicu Messana  

 

          MONTEDORO 1850 - UN CASO EMBLEMATICO: 

                              Don Gaspare Rizzo

(A cura di Calogero Messana)    

Appaltatore di miniere, Vicario Curato , Consigliere Comunale .. e concubino. Un personaggio che ho più volte incontrato tra le carte delle vicende minerarie di Montedoro è il Sac. Gaspare Rizzo.

 

  

                          MONTEDORO

               Inaugurazione della mostra                    DISCONTINUA  -  PARATA D'ARTE
             
nel
Nuovo Teatro Comunale
 

 

                                 Atto di compravendita terreno "ARVANELLO" del 1859
       bisaccia una, tumuli due, mondelli due, carrozzi tre, quarto uno, quartigli tre
                                             al prezzo di:  onze 20


                                                                      

 

                                                   L'AFFARE  "SANIRRI"

Esiste moltissima documentazione riguardante le vicende dell'Ing.Minerario  Pierre Saunier, in paese chiamato "Sanirri". Era in contatto  con  Pietro Tucci (Ispettore Minerario per la fusione dello zolfo etc.). Il Saunier portò avanti, per molti anni, un tentativo per  riorganizzare le miniere  Siciliane dall'estrazione alla trasformazione. Viveva  tra Parigi, Londra, Bergamo, la Sicilia e ...Montedoro.
Ho infatti trovato una lettera ( in francese) inviata al Prefetto di Caltanissetta  intestata : Mines-Montedoro-Montegrande-Sicile.  ( Montegrande? A cosa si riferisce?).
E' interessante il libretto a stampa in cui si fa una  digressione  sulle miniere e i costi legati a  tutto il processo produttivo. Forse  se  il progetto fosse andato in porto le cose  sarebbero cambiate......ma non successe  nulla come  sempre succede dalle nostre parti.......
Anche Petix ne parla,  e in sintonia  con Saunier,  spiega il motivo per  cui non vi è stato lo sviluppo dell'industria mineraria.

                                                                

 Calogero

 

                               M O N T E D O R O
                                      La corsa all'oro giallo

                                                   
                              Il "FORNO ROMA" di Gibellini  
                              Le lotte dei minatori                             agg. al:    10.3.08
                              Miniera Orto del Signore e Gibellini           agg  al:    10.3.08
                             
Le concessioni                                      agg. al:    11.4.08 
   
                          Incidenti mortali  Augello-Brancato            agg. al:    14.4.08
    
 
                         La storia Gibellini-Licata-Duminuco           agg. al:    23.4.08 
    
                
        Miniera Nadorello                                     agg. al:    26.4.08
    
                         Miniere: Grottazzi-S.ta Lucia- Schillaci     agg. al:    28.4.08
                              Il documento più antico: 1818                    agg. al:     5.6.08 

                              Disputa sull'appartenenza di Gibellini       agg. al:     9.6.08
                              Fondo Tucci                                               agg. al:    20.6.08
                             
TUTTI CONTRO PIAZZA.......                       agg. al:    26.6.08
                             
URZI' - Piccola truffa ai danni del comune                agg. al:    30.6.08
     
=========>    Rouré-Petizione a Sua Maestà per invenzione     agg. al:    30.7.08

 


                    

    … E LA GIURANA FINI’ VUDDUTA
                                 di Nicolò falci
  
Questa poesia dovrebbe fare riflettere tutti noi che ogni giorno siamo "cucinati" a fuoco lento da ogni tipo d'inquinamento che, lentamente ma inesorabilmente, mina la nostra salute.  Come la "giurana" ci sguazziamo dentro coscientemente e con sommo piacere, finché: 
" Oh! mischinu! E chi cci successi? Stava accussì beni!".

 

                                        LE OPUNZIE DEI CAICO 
Siamo nel febbraio del 1868. Sindaco di Montedoro era Onofrio Caico, mentre il cugino Cesare era assessore comunale e consigliere provinciale. 
Giorgio Caico chiedeva al cugino Cesare di non continuare a bruciare lo zolfo estratto dalla sua miniera di Piano di corsa (Stazzone) perché inquinava il suo terreno limitrofo, rovinandone le colture. Infatti aveva fatto seminare una palizzata di opunzie (fichi d'india) ed invocava la legge vigente.
Cesare "se ne frega" e continua imperterrito a bruciare gli zolfi nei suoi calcheroni. 
Giorgio si rivolge al Prefetto, dal comune gli risponde Pappalardo (consigliere anziano), che da ragione a Cesare. Interviene pure il Corpo delle miniere il cui ispettore "constata che indubbiamente le foglie di fico d'india furono piantate nei ginesi (in cui non si sa come potranno mettere radice e vegetare) da pochissimo tempo e soltanto per avere un pretesto, in verità poco serio, onde insinuare il già citato ricorso".

Lotta tra familiari, in palese conflitto d'interesse!

                                                          
                                              Leggi i documenti     

 

                                      LE FORME DELLO ZOLFO
                                      (esperimento di Calogero Messana)

                   Prova di fusione dello zolfo a temperatura controllata

  
             1                         2                      3                        4                        5

1) sembra un uovo fritto, ma é lo zolfo che sta fondendo a 119/gradi
2) versato nel contenitore ha preso la forma di una saponetta gialla
3) a sinistra zolfo grezzo,   a destra la "spera", zolfo fuso versato in acqua
4) a temperatura più alta (200/gradi) cambia colore e diventa scuro
5)raffronto tra le due fusioni 

 

                      Qualcuno si riconosce?    Siamo a MONTEDORO
 
 
26 gennaio 1968 -  manifestazione per le pensioni                       esproprio terre - 1972

 

Calogero, alla Fieravecchia di Palermo, ha rintracciato il luogo  dove si trova infissa la "balata"  con il ragguaglio delle antiche misure.

           
   Palermo  -  La "balata" delle antiche misure           Sistema metrico siculo

 

                                                         MODI DI DIRE

In paese, quando chiedi ad una persona "come stai?", potrebbe risponderti con la solita malinconica rassegnazione isolana: "Ni la manciàmmu la spisa!"
Un altro, più drammatico del primo, dondolando la testa: "
Cuculiàmmu".
Mentre un terzo, ormai rassegnato: "
Comu li vicchiarìaddi!".
Altri risponderanno: "
Ci defendiamo", oppure. " Ci arrampichiamo sugli specchi".

Ieri, incrociando una persona di una certa età che parlava in italiano, alla domanda: "Come stanno i tuoi?", ha risposto: "Si siedono ancora a tavola!". 

 


                             CASA MESSANA  -  MONTEDORO

 In preparazione Museo etnologico con vecchi attrezzi e strumenti

   Visita --------->                       

 

 Il SITO del Comune di MONTEDORO

                        

 

  MONTEDORO  PAESE   DELL'ASTRONOMIA

 

                                                                I MIEI LIBRI PER L'ESTATE
Dove trovarli:

 su internet all'indirizzo:  http://www.ilmiolibro.it/autore.asp?id=738

A Montedoro: presso cartoleria TAIBI FABIO, Via Cavour,14  Tel. 0934 934260 
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  SIETE MAI STATI "MAESTRI DI MARAMMA"?
        
        Lettera             trascrizione         vocabolario

 

                                                                                    

 


      
   Gueli Gerlando e Teresa 
 
   Elezioni sindaco Montedoro

 

                        MIRACOLO !
  Come si può spiegare un "miracolo"?

                             

 

   I POETI DELL'ARIETE   
            MILANO

 

 Volete fare omaggio di un piccolo ....lucchetto ?

                            
                             

 

 
   Avete assistito al crollo?

 

   
     


    






Giabarresi-Marranca
    Bufalino - Alba
    Rita Borsellino e Salvatore Messana da Agostino Tulumello

 

                      LA CARTEDDA
                       
                         

 

                            Il DECURIONATO di MONTEDORO
 

nell'anno 1831 solleva una disputa territoriale sull'appartenenza dei MontiGibellini  che, attribuiti a Racalmuto, causarono a Franco Caico il sequestro  dello zolfo ed il licenziamento dei picconieri.

A S.E. Il Ministro Segretario di Stato presso S.(ua)A.(ltezza) R.(eale) il Luogotenente Generale per la via del Dipartimento dell'Interno....etc.. etc... ('Altezza Reale  era il Principe di Satriano)

                                                          

 

                   NUOVO AGRITURISMO di  VITO MESSANA
                             ASTI  -  BOSCO  DELLA  LUJA

            

 

    
Il 18 aprile 2008 quattro '' compagni '' di scuola si sono ritrovati in Francia a Pérouges Villaggio del XIII esimo in occasione del 40^ anniversario del Circolo Franco Italiano di Meyzieu
C.Pace

 

   IN GIRO PER MILANO

                

 

  MOSTRA FOTOGRAFICA  di  MARIO INGROSSO
      Il naviglio Martesana fra storia e presente

  26 maggio 2008 presso il centro di formazione di via S. Erlembardo, nel parco Finzi

                                                              

 

            Calogero Messana
     
    INCREDIBILE   RI-SCOPERTA

                    

             della  BUCA CAICO

 


              
    ASCOLTA IL SILENZIO

 

                                     A V V I S O

Importante accordo ottenuto dal nostro Calogero Pace (06 07312091), tra il Circolo Franco Italiano e la Compagnia GNV (Grandi Navi Veloci).

                                          

 

 ESINO LARIO - Foto Esino Lario, Grigna settentrionale, lago di Lecco
                                                   

 

                          Splendida opera di ALFONSO ALESSI
                                 Racalmuto in miniatura
 

                                                      

 

Era da molto tempo che volevo mandarvi qualche fotografia ; stasera ne ho scelto due di mio marito Lele e di suo fratello Andrea. Sono molto affascinanti e ci chiediamo chi era questo fotografo "ambulante" che ha fotografato , penso, tante famiglie in questa città.
E' mia figlia che fa la traduzione per me.
(Elle fait sa quatrième année  d'architecture à Genova en Erasmus.)
Huguette Galante.
 
   Andrea
  
    Calogero

 

        FINALMENTE "LUCCIOLA"  E' TORNATA A MONTEDORO
                                                
                                           

 

  UNA PASSEGGIATA A PUPIDDU
                                     

                                                            

 Richiesta di certificato d'appartenenza alla "Razza Ariana"
                         a Fernando Aragona Pignatelli
                                           

                                                                                                     

                   TRINACRIA  di Nicolò Falci
                                     

 

   NICOLO' giuoca a lu "SPIRLICCHIU"
                               
 
                   LE PORTE di EMILIO DUMINUCO